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Opinioni Scienze Politiche

L'antidoto contro il sovranismo

, di Michele Chicco
Occhi puntati sulle elezioni in Europa e soprattutto negli Usa, dove una presidenza Trump porterebbe a un maggiore disimpegno nelle relazioni internazionali, spiega Massimo Morelli. Per portare alle urne gli elettori disillusi, vera arma contro i nazionalismi, serve però uno scenario di speranza nell'Europa

Il disimpegno degli Stati Uniti d'America e la fragilità dell'Unione europea mettono a rischio gli equilibri del mondo, raggiunti con la fine della Guerra Fredda. Il 2024 è l'anno spartiacque: "Se ci sarà il trionfo del sovranismo verranno riscritte le regole della geopolitica", sottolinea Massimo Morelli, professore di Political Science and Economics dell'Università Bocconi. L'antidoto alla deriva populista è la partecipazione degli elettori disillusi: "Ma per convincerli bisogna creare uno scenario di speranza e avvicinarci agli United States of Europe".

L'Europa e gli Stati Uniti porteranno alle urne gran parte dell'Occidente. Qual è la posta in gioco?
Quelle che contano sono le elezioni americane, perché in Europa si può solo peggiorare: se le cose non rimangono come sono ora, con una coalizione che ha buone intenzioni ma poca capacità decisionale, si va verso una maggiore protezione delle sovranità nazionali. Negli Stati Uniti, invece, c'è maggiore incertezza per le differenze che esistono tra Joe Biden e Donald Trump, ma come per l'Europa il cambiamento è al ribasso. Con Trump la cooperazione globale diventerà più difficile perché il suo populismo ha due caratteristiche distintive: il maggior protezionismo di America First e quello che chiamano disimpegno, il progressivo allontanarsi dai problemi delle relazioni internazionali. C'è il rischio che il sistema che abbiamo conosciuto fino a ora, con le democrazie occidentali che dominano per valori ed economia, possa non continuare.

Vede a rischio l'assetto internazionale che domina il mondo dalla fine della Guerra Fredda? 
Lo è perché i leader che probabilmente saranno eletti vanno in questa direzione, con un sistema più centrato sull'idea di nazione. Le intenzioni dei leader populisti delle superpotenze occidentali fanno automaticamente il gioco dei Brics che con l'allargamento avvenuto quest'anno vedono aumentare il loro peso: rappresentano il 40% della popolazione mondiale e generano più del 35% del pil globale. Tutto a vantaggio ovviamente di chi vuole aumentare il proprio ruolo geopolitico: la Cina e la Russia.

Che sono anche i protagonisti delle tensioni in Ucraina e a Taiwan. Finché Stati Uniti ed Europa sosterranno lo sforzo dell'Ucraina il conflitto andrà avanti, anche se la frontiera si sposta solo di qualche metro. Ma con l'indebolimento della cooperazione internazionale c'è una minore probabilità che il sostegno all'Ucraina continui. Putin lo capisce benissimo, è sempre stato a favore dei populisti per convenienza: non è per simpatia che ha supportato, direttamente o indirettamente, Trump e i vari sovranisti europei ma perché sa che in uno scenario geopolitico più debole può venir meno il sostegno dell'Occidente all'Ucraina per arrivare a un trattato di pace che stabilirà il confine lì dove è adesso.

E Taiwan?
Le elezioni di gennaio non cambiano granché: ha vinto il partito più vicino all'indipendentismo che è anche pienissimo di interessi economici. Non andranno all'indipendenza a costo di farsi bombardare dalla Cina, perché c'è il rischio che gli Stati Uniti non li supportino. Con la vittoria di Trump, però, Taiwan potrebbe diventare un problema dal 2025 soprattutto se gli Stati Uniti avranno raggiunto l'autonomia tecnologica perché il disimpegno sovranista potrebbe spingere la Cina ad attaccare. Ma non credo che sarà un pericolo imminente.

L'altro fronte acceso è nel Medio Oriente, con il mai placarsi delle tensioni israelo-palestinesi. 
Non è un problema nuovo e tutti gli episodi passati sono sempre finiti quando gli Stati Uniti hanno deciso di imporre ad Israele di fermarsi. Così è anche questa volta. Non sarà una risoluzione del problema, sia chiaro: si tratterà sempre di un prolungato cessate il fuoco, perché in quel contesto non ci potrà mai essere una soluzione se non si arriverà da entrambe le parti a una leadership più moderata. E questi leader moderati non sono né Netanyahu né assolutamente Hamas.

L'Unione europea che ruolo gioca nello scacchiere internazionale?
Le capacità dell'Europa di influenzare la politica globale sono sempre più scarse perché manca coordinamento. Negli ultimi anni, soprattutto con il Covid, c'è stata qualche iniziativa di maggiore cooperazione, ma oggi lo scenario politico va in un'altra direzione. E d'altra parte è una precisa volontà, spero temporanea, dei cittadini. A giugno una sorpresa può venire da una partecipazione di massa dei sostenitori dell'Europa: se io fossi un leader politico di un partito europeo spingerei moltissimo sulla mobilizzazione per cambiare il trend.

È la partecipazione l'antidoto al populismo e sovranismo?
Sì, la partecipazione di chi ora resta a guardare passa dal creare uno scenario di speranza. Se vai a votare devi farlo perché credi che l'Europa possa fare qualcosa, specialmente quando i problemi che dobbiamo affrontare sono globali: pensare che la soluzione alla crisi climatica, alle guerre e alla rivoluzione dell'Intelligenza artificiale possa essere la sovranità nazionale è un paradosso. Per invertire questa tendenza i leader devono parlare al cittadino europeo, non agli elettori nazionali sull'ambiente e sulle politiche comuni di spesa.

Non è facile mettere d'accordo i 27 Paesi Ue sulla spesa comune.
In campagna elettorale si dovrebbe proporre il sussidio di disoccupazione europeo, con politiche specifiche per risolvere un problema attingendo a fondi in comune. I paesi frugali sono portati a essere più flessibili quando si tratta di sostenere direttamente le persone, non i governi. Una politica che finanzi il sussidio di disoccupazione può accelerare il processo di creazione dell'identità europea e aumentare la fiducia nelle istituzioni, riducendo le distanze tra istituzioni e cittadini, specialmente delle classi meno abbienti. Piccoli passi di integrazione verso i famosi United States of Europe, ai quali non siamo ancora per niente vicini.