La riforma fiscale che fa ripartire l'economia
Il nostro paese è da tempo soffocato da problemi di crescita economica, che si ripercuotono sul debito pubblico e sul deficit. L'alleggerimento della pressione fiscale è uno degli strumenti per invertire la tendenza, ma i vincoli di bilancio e l'imminente avvio delle regole sul fiscal compact non consentono di ridurre la pressione se non mediante significative manovre sul lato della spesa. Le teorie più accreditate indicano che spostando l'imposizione dalle imposte dirette a quelle indirette è però possibile realizzare una distribuzione dei carichi d'imposta per rendere il sistema più favorevole agli investimenti e alla crescita, pur mantenendo la parità di gettito complessivo. La crescita consentirebbe spazi sempre maggiori per intervenire sulla pressione fiscale complessiva, in un circolo virtuoso in grado di alimentare se stesso.
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Andrea Manzitti |
Meno imposte su imprese e lavoro, dunque, e più imposte su patrimoni e consumi: sembra questa la ricetta giusta. Il governo Monti ha incrementato l'imposizione patrimoniale, ma sotto la spinta dell'urgenza, lo ha fatto in modo disordinato e sperequato. È giunto il momento di accorpare tutte le imposte patrimoniali in un'unica imposta sul patrimonio complessivo, al netto dei debiti (mutui, ad esempio), con aliquote moderatamente progressive e una congrua fascia di esenzione. Il patrimonio complessivo dovrebbe essere oggetto di dichiarazione annuale. Ciò consentirebbe un più efficace contrasto all'evasione e migliori controlli per l'accesso a prestazioni pubbliche.
Sul versante dell'Iva occorre ridurre il 'vat gap', cioè la differenza tra l'Iva teorica calcolata all'aliquota ordinaria per tutti i consumi e le importazioni, e quella effettivamente incassata. Tra le due grandezze ci sono le frodi Iva e le aliquote ridotte e super ridotte. Non so se in Italia le frodi Iva siano maggiori che altrove, ma moltissimi sono i consumi esenti o assoggettati ad aliquote Iva molto basse. Non stupisce che in Italia il vat gap sia tra i più alti al mondo. Un serio dibattito sulle aliquote Iva ridotte e super ridotte non mi pare quindi rinviabile. Destinando il maggior gettito di Iva alla riduzione del cuneo fiscale, il reddito disponibile per le famiglie dei lavoratori aumenterebbe compensando l'aggravio fiscale sui consumi. Un gettito maggiore, più equo e più stabile dall'imposizione patrimoniale finanzierebbe anche programmi di sostegno al reddito. La riduzione del cuneo fiscale favorirebbe gli investimenti e nuova occupazione.
Ma non è solo un problema di aliquote, quanto di norme e prassi tributarie caratterizzate da opacità, complessità e instabilità. Occorre quanto meno ripristinare l'omogeneità e la stabilità delle basi imponibili per le imprese, disboscare i sistemi differenziati e le agevolazioni evitando di rincorrere la 'specificità' degli interessi particolari e concentrando gli incentivi su pochi e chiari indirizzi (ricerca, patrimonializzazione e efficienza energetica), ripristinare la certezza del diritto. Senza queste misure, gli investimenti esteri continueranno a calare.
I politici però detestano aumentare le imposte sui consumi e sul patrimonio dei loro elettori. Non stupisce che l'attenzione di governo e parlamento sia rivolta su Imu e Iva. La delega per la riforma fiscale, predisposta dal precedente governo e che avrebbe consentito una robusta manutenzione delle regole fiscali per le imprese e i contribuenti in genere, giace in parlamento. Intanto, la ripresa economica si allontana di semestre in semestre ed è difficile pensare che, senza una riflessione attenta anche sul sistema tributario complessivo, possano crearsi le condizioni minime per la diminuzione del prelievo su imprese e lavoro.