La prima volta fuori dalla comfort zone è faticosa, la seconda già meno. E così via
Imparare a viaggiare, a viaggiare leggero, perché idee e risposte alle domande, professionali e personali, non arrivano stando chiusi in una stanza. Spostarsi geograficamente, magari all’estero, o spostarsi periodicamente da un’azienda all’altra o cambiare solo mansione all’interno della stessa realtà professionale può costare fatica e qualche rinuncia: c’è lo sforzo di uscire dalla propria comfort zone, c’è il timore di perdere tempo e sbagliare ma “le rinunce si possono fare, perché sono scelte a fronte di qualcos’altro che ci arricchirà. La prima volta che si esce dalla propria comfort zone costa fatica, è vero, ma già la seconda volta richiede meno impegno. L’importante è rimanere interessati a quello che succede nel mondo, alle sue dinamiche, incrociando la soddisfazione dei nostri interessi con l’attenzione verso le evoluzioni del mercato”: Francesca Rizzi, laureata in Economia politica all’Università Bocconi e oggi ceo e cofounder di Jointly, spiega e contestualizza uno per uno tutti i passaggi e i nodi all’inizio di un percorso di carriera e di soddisfazione personale. Ma non lo fa solo perché la sua società, lanciata nel 2014 insieme con Anna Zattoni, ora presidente, si occupa proprio di fornire tecnologie, servizi e consulenza personalizzati alle aziende che desiderano migliorare il benessere dei propri dipendenti (altrimenti detto corporate wellbeing). Lo fa soprattutto perché è stata lei stessa ad aver vissuto momenti di esitazione.
Eppure, tante di quelle scelte si sono rivelate “amate”: “ero indecisa tra sociologia e ingegneria, ho finito per preferire economia politica che mi sembrava una via di mezzo e mi ha effettivamente dato una visione dall’alto dei sistemi, del mercato e della società, che era quello che cercavo”, ricorda Rizzi. Dopo essersi trasferita da Verona a Milano per seguire gli studi accademici, ha vissuto nel pensionato universitario: “a parte averci trovato il mio futuro marito e gli amici che frequento ancora, è stata ed è una grande comunità di persone con lo stesso imprinting. Importante per le relazioni sociali e, in particolare, per aiutarsi nella vita”.
Dunque un marito e poi due figlie, però prima, Rizzi ha fatto la valigia e ha seguito uno scambio universitario internazionale alla Wharton school-University of Pennsylvania (una delle Ivy league business schools), uno stage alla neonata Bce; ha lavorato nell’Ufficio studi di McKinsey, dopo come consulente strategica nel settore banche e assicurazioni, sempre in McKinsey, e infine al coordinamento della practice Asset management&insurance. Il tutto viaggiando spesso e vivendo per lunghi mesi all’estero, tra Germania, Francia e Regno Unito.
“Ho affrontato ogni esperienza come una palestra, cercando di acquisire metodi e strumenti. Ho imparato da autodidatta e quest’approccio mi è servito per diventare successivamente imprenditrice. Lo consiglio anche a chi non vuole o ancora non sa se fonderà la sua società”, rilancia Rizzi. “Ho avuto l’idea di far nascere Jointly dopo aver frequentato le attività del tavolo di lavoro sul worklife balance di Valore D, programma di empowerment femminile”. In quell’occasione l’imprenditrice ha capito che c’era un bisogno inespresso nel mercato. Le aziende, a partire da quelle più grandi, volevano migliorare l’equilibrio lavoro-vita personale dei loro dipendenti ma non sempre avevano le risorse e le competenze per farlo. “Quando sono entrata in contatto con queste aziende, ho scoperto un mondo che conoscevo pochissimo. Ma quest’esperienza mi ha incentivato a lasciare un’occupazione che mi piaceva e a tuffarmi in un settore che, 10 anni fa, non era strutturato come oggi. Perché? Perché avevo bisogno di contribuire anch’io al cambiamento del mondo del lavoro. Questo era un mio desiderio e, confermo quanto detto all’inizio, ho cercato di incrociare la soddisfazione di un mio interesse con l’evoluzione e i bisogni del mercato”, conclude Rizzi.