La guerra di religione e' soltanto un mezzo
I commenti sull'Isis ne sottolineano il fanatismo religioso e l'estrema brutalità, mentre i militanti sono descritti come folli. Si può invece razionalizzare ciò che sta accadendo in Iraq e Siria senza invocare la follia e i fantasmi del XIV secolo.
Gli ultimi eventi sono compatibili con due opposte spiegazioni: che i veri obiettivi siano la conversione di tutti gli infedeli, la jihad, il fondamentalismo religioso e che l'acquisizione di potere e risorse nella regione siano un mezzo, o una tappa, in quella direzione; o che l'obiettivo siano il potere e la massimizzazione delle risorse disponibili per i combattenti e i civili del gruppo dominante nella regione e che il terrorismo estremo, la violenza e persino il fondamentalismo religioso siano in realtà lo strumento per raggiungere l'obiettivo del controllo di risorse e potere.
Ritengo che la seconda interpretazione, in questo momento, sia la più plausibile e quella che, nel breve periodo, ci offre maggiore capacità euristica.
Alcuni elementi consentono una razionalizzazione di ciò che sta accadendo in Iraq e Siria. In primo luogo l'attuale debolezza dello stato in entrambi i paesi apre una finestra di opportunità per conquistare potere e risorse in Iraq e parte della Siria; e mentre questa opportunità di creare uno stato islamico è una novità, non c'è invece motivo di credere che gli obiettivi estremi della jihad siano più facilmente raggiungibili proprio in questo momento. In secondo luogo le armi sottratte all'esercito iracheno e ai sostenitori di Assad aprono contemporaneamente un'altra finestra di opportunità in termini di forza relativa. Il terzo elemento è che l'obiettivo del potere è coerente con il fatto che Baghdad sia stato il primo obiettivo, mentre l'interesse per il controllo delle risorse è coerente con l'attenzione per l'area curda. Infine, anche gli obiettivi perseguiti in Siria sono significativi per il controllo del potere, comprese le infrastrutture e il consolidamento dello stato, mentre lo spostamento a sud-ovest verso Israele non si è rivelato un obiettivo visibile dell'Isis.
Persino la decapitazione dei giornalisti e dei volontari è una dimostrazione di brutalità finalizzata principalmente a mobilitare forze interne ed esterne attraverso la paura. Insistere sulla linea ideologica e religiosa facilita il reclutamento di agenti determinati e costituisce un disincentivo alle defezioni interne e alle minacce esterne. Inoltre l'interpretazione più plausibile della decapitazione dei giornalisti è che sia finalizzata a evitare un intervento degli Stati Uniti piuttosto che a provocarlo per fanatismo. L'obiettivo del controllo del potere e delle risorse sarebbe fondamentalmente raggiunto nel momento in cui la comunità internazionale cominciasse a definire davvero l'organizzazione uno "Stato islamico". Perciò dobbiamo negarle l'accesso allo status di stato e per questo la strategia internazionale di contenimento non basta: se l'obiettivo è il controllo del potere e delle risorse, il contenimento e la protezione di Baghdad ed Erbil finirà per consolidare l'area da loro controllata come uno stato islamico.
La comunità internazionale ha sostenuto (direttamente o per inerzia) una strategia di contenimento, insieme al tentativo di deradicalizzare la regione dall'interno, sostenendo, ad esempio, un governo più inclusivo in Iraq. La componente di deradicalizzazione è attivamente contrastata dal reclutamento di estremisti anche nel resto del mondo e perciò è fin troppo probabile che questa strategia inerziale porti alla nascita di un vero stato. Gli incentivi a intervenire di Turchia, Arabia Saudita e altre potenze regionali non sono abbastanza forti e le superpotenze difficilmente si spenderanno per una radicale eliminazione dell'Isis.
La strategia migliore sembra essere quella volta a ridurre drasticamente il valore del raggiungimento dell'obiettivo dello stato, per esempio focalizzandosi su tutte le aree di produzione di petrolio e gas. Solo quando il controllo di tali aree sarà restituito ad altri la strategia di deradicalizzazione dei civili potrà funzionare, almeno in Iraq.
Pensare all'estremismo come a una strategia strumentale anziché un folle obiettivo può aiutare gli scienziati sociali a ricostruire un quadro coerente ed essere in grado di comparare l'efficacia di diverse strategie di contrasto. E in questo caso si deve valutare in modo assolutamente positivo l'attuale forte attenzione agli introiti della vendita di idrocarburi.