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La diversificazione migliore è quella geografica

, di Marco Navone
investimenti. Da una ricerca nuova luce sulle effettive opportunità di ridurre il rischio di portafoglio

La diversificazione è da anni il mantra dei gestori di portafoglio: fin dagli anni '70 è risultato evidente che investire in titoli azionari di diversi paesi permette di ridurre il rischio del portafoglio senza dover sopportare una sensibile riduzione del rendimento. Questo effetto, conosciuto come beneficio di diversificazione, deriva dalla bassa correlazione esistente tra i mercati azionari di diversi paesi che tendono a salire e scendere in modo non coordinato. Ripartire l'investimento è quindi un modo per assicurarsi di avere sempre in portafoglio almeno qualche asset in grado di offrire una performance soddisfacente.

Recentemente si è però osservato che molti operatori hanno modificato la struttura dei propri portafogli passando da una diversificazione tra paesi a una tra settori. In un'indagine condotta da Goldman Sachs nel 1998 due terzi degli operatori intervistati hanno affermato che in seguito all'introduzione dell'euro avrebbero ristrutturato le proprie attività di ricerca e di investimento lungo linee settoriali anziché geografiche. L'idea alla base di questo cambiamento è che dopo trent'anni d'integrazione economica i diversi mercati azionari nazionali sono diventati molto correlati e che quindi è possibile ottenere maggiori benefici di diversificazione operando su diversi settori economici. In un recente working paper pubblicato dal Centro per la ricerca applicata in finanza (Carefin) della Bocconi, ho analizzato, assieme ad Emilio Grisolia di Credit Suisse, l'efficacia di questo cambiamento di prassi di investimento.Lo studio conferma che alla fine degli anni '90 la correlazione media esistente tra diversi settori industriali è risultata inferiore di un terzo rispetto a quella esistente tra paesi (0,40 contro 0,68) e quindi la diversificazione tra settori industriali risulterebbe più efficace di quella tra paesi. A ben vedere, però, si possono dare due spiegazioni a questo fenomeno: da un lato vi è il processo di integrazione e il conseguente aumento della correlazione tra paesi, dall'altro vi è il comportamento anomalo dei settori industriali legati alla tecnologia alla fine degli anni '90 che ha portato a una forte riduzione della correlazione tra settori (l'ipotesi 'bolla speculativa').Distinguere tra queste due ipotesi è essenziale: se la causa principale del fenomeno registrato è il processo d'integrazione economica è lecito attendersi che la superiorità della diversificazione settoriale rispetto a quella geografica sia duratura, se invece l'ipotesi bolla speculativa risultasse confermata sarebbe logico aspettarsi un ritorno alla situazione pre-bolla e lo spostamento verso una logica di gestione di portafoglio settoriale risulterebbe, alla fine, controproducente. Attraverso una pluralità di analisi su un campione che copre 19 paesi e 19 settori industriali dal 1992 al 2008 siamo in grado di concludere che la superiorità della diversificazione settoriale rispetto a quella geografica scompare dopo il 2003, di fatto dimostrando la correttezza dell'ipotesi 'bolla speculativa', ovvero del fatto che questa superiorità è stata causata soprattutto dal comportamento anomalo dei settori tecnologici tra il 1998 e il 2003. Questo risultato non esclude il fatto che negli ultimi quindici anni si sia registrato un forte fenomeno di integrazione economica e, quindi, un forte aumento della correlazione media tra i mercati azionari dei diversi paesi.Come risultato di queste due forze si ha che negli ultimi anni le due strategie di diversificazione hanno prodotto una performance, in termini di riduzione del rischio di portafoglio, molto simile. Si può quindi dire che se la scelta di spostare il processo di diversificazione da un'ottica geografica a una settoriale è stata una gigantesca moda che ha travolto il mondo finanziario a cavallo del millennio e che non ha portato benefici di lungo periodo, essa almeno non ha danneggiato il profilo di rischio e rendimento dei portafogli.