Il senso di colpa nell'arsenale dei pubblicitari
Il senso di colpa nel linguaggio comune può essere definito come un rimpianto o un rimorso provato per non aver agito secondo coscienza. È uno stato d'animo che pervade la nostra esistenza: secondo gli psicologi delle emozioni trascorriamo almeno due ore ogni giorno in compagnia di questa scomoda presenza! Si tratta senz'altro di una compagna dolorosa ma, al tempo stesso, rassicurante: l'assenza di tale dimensione condurrebbe inevitabilmente qualsiasi società verso un'anarchia catastrofica. La colpa, infatti, svolge una fondamentale funzione adattiva nella vita dell'uomo, costituisce un potente strumento di socializzazione e, anche grazie a questa emozione, i legami sociali vengono preservati e mantenuti.
D'altro canto, la colpa è un'emozione che può essere indotta: in modo più o meno subdolo, da sempre marketing manager e responsabili della comunicazione fanno leva su questo penoso stato d'animo per promuovere beni e servizi. Gli uomini d'azienda, a seconda delle diverse circostanze, cercano di indurre questa emozione negativa nei potenziali acquirenti o, talvolta , di attenuarla. In pubblicità, ad esempio, si ricorre al senso di colpa con la stessa frequenza con cui si utilizzano chiavi comunicazionali come lo humor e la comparazione. Del resto, il mercato ha gioco facile: il consumatore sperimenta questa pena molto frequentemente, sia nei confronti della società nel suo complesso, sia nei riguardi delle persone a lui care o anche nei confronti di se stesso.
Il cliente, nel primo caso, commette una trasgressione sociale: gli succede, ad esempio, nel momento in cui non effettua la raccolta differenziata oppure sceglie di non supportare una causa umanitaria. Molte campagne sociali promuovono una particolare causa proprio facendo leva sul senso di colpa del potenziale sottoscrittore. Si tratta, tuttavia, di un appello utilizzato, talvolta, anche nel mondo profit: la Fiat, ad esempio, nel momento in cui ricorda ai potenziali acquirenti che l'acquisto di un'auto straniera danneggia la nostra economia, intende proprio indurre un senso di colpa per un danno provocato al paese.
Nel secondo caso, ci sentiamo in colpa nel momento in cui ci rendiamo conto che le nostre decisioni (o mancate decisioni) d'acquisto possono avere un impatto negativo sulle persone a cui teniamo. Può essere il caso, ad esempio, di un padre che, per essersi concesso un bene di lusso, ha la sensazione di aver privato di qualcosa i propri figli. Gli uomini di marketing sanno bene che questa emozione può rappresentare un forte ostacolo all'acquisto di beni "superflui" e alcuni brand del mondo del lusso hanno saputo abilmente attenuare questa spiacevole emozione, suggerendo furbe e convincenti giustificazioni all'acquisto, quali, ad esempio, l'opportunità di tramandare questi oggetti del desiderio alle generazioni future, come suggerisce uno degli slogan di Patek Philippe.
Infine, il consumatore può sentirsi in colpa perché crede di non aver agito coerentemente con i valori ed i principi della persona che desidera essere. Potrebbe essere, ad esempio, il caso di chi, cedendo a certe tentazioni gastronomiche, è consapevole di compromettere la linea e, forse, nel lungo periodo, anche la propria salute. Proprio per questo, la snervante protagonista degli spot di Kinder Bueno rifiuta l'offerta di un dolce altamente calorico domandando irritata all'ingenuo proponente:"Mi vuoi tutta ciccia e brufoli?!", strafogandosi poi, senza sensi di colpa ovviamente, un forse meno calorico snack.
La colpa è un appeal pubblicitario efficace? Non sempre. Nel momento in cu viene percepito un palese intento manipolatorio, i riceventi sono in grado di formulare opportune controargomentazioni. Il consumatore, dunque, non è indifeso: è in grado di depotenziare l'efficacia dell'appello alla colpa. E' stato poi dimostrato che solo gli appelli comunicazionali che generano un moderato senso di colpa risultano essere efficaci. Infatti, un forte senso di colpa è accompagnato, talvolta, anche all'irritazione e alla rabbia, emozioni che hanno un impatto negativo sull'atteggiamento nei confronti della marca e che disincentivano l'acquisto.