Il risotto di Giuseppe Verdi
Giuseppe Verdi amava mangiar bene, ma anche stare tra i fornelli a sperimentare ricette di sua invenzione. Dopo il successo del Ballo in Maschera, la gente gridava Viva V.E.R.D.I. (Viva Vittorio Emanuele Re d'Italia), e il Maestro, trascurando il pentagramma e il fornello, ebbe una parentesi di esaltazione politica, un breve intermezzo, un fuoco di paglia. Nel 1859 venne eletto a furor di popolo rappresentante dell'assemblea delle Province Parmensi e partecipò ai plebisciti per l'annessione al Piemonte. Conobbe Cavour e divenne membro del primo parlamento del Regno d'Italia. Avrebbe forse desiderato impegnarsi di più, lottare, combattere, ma non ne aveva la stoffa.
Il Cigno di Busseto, quando veniva preso dallo sconforto, si consolava con tortellini in brodo, culatello e con il suo celebre risotto. Il suo fiasco più famoso fu quello della Traviata. Alla Fenice di Venezia affondò sotto una pioggia di fischi e di risate. Un analogo destino ebbe il Don Carlos che andò in scena all'Opéra di Parigi. Il fiasco fu però compensato da un'inattesa richiesta che l'impresario dell'Opéra, Camille du Locle, rivolse al Maestro: ricevere la ricetta del suo famoso risotto. Verdi, compiaciuto, inviò la ricetta: "Mettete in una casseruola due oncie di burro fresco; due oncie di midollo di bue, o vitello, con un poco di cipolla tagliata. Quando questa abbia preso il rosso mettete nella casseruola sedici oncie di riso di Piemonte: fate passare a fuoco ardente mischiando spesso con un cucchiaio di legno finchè il riso sia abbrustolito ed abbia preso un bel color d'oro. Prendete del brodo eccellente, fatto con buona carne e mettetene due o tre mescoli nel riso. Quando il fuoco l'avrà poco a poco asciugato, rimettete poco brodo e sempre fino a perfetta cottura del riso. Avvertite però che a metà della cottura del riso bisognerà mettervi un mezzo bicchiere di vino bianco, naturale e dolce: mettete anche, una dopo l'altra, tre buone manate di formaggio parmigiano grattato rapé. Quando il riso sia quasi cotto, prendete una presa di zafferano che farete sciogliere in un cucchiaio di brodo, gettatelo nel risotto, mischiatelo, ritiratelo dal fuoco e versatelo nella zuppiera. Avendo dei tartufi, tagliateli ben fini e spargeteli sul risotto a guisa di formaggio. Altrimenti mettevi formaggio solo. Coprite e servite subito". Firmato: Giuseppe Verdi.
Un'altra memorabile ricetta del Maestro riguardava le spallette di maiale a uso di San Secondo. Verdi inviò a Giulio Ricordi una spalletta accompagnata da una ricetta personale. L'editore concluse la sua lettera di ringraziamento con queste parole: "Ill.mo Maestro, già! Ella riesce bene in tutto, perfino nelle spallette. Ho il piacere di avvertirla che jeri fu solennemente inaugurata fra l'entusiasmo generale e i bis furono innumerevoli!". Verdi inviò la spalletta e la ricetta (come fossero bijoux) pure alla soprano Teresa Stolz, destinata a prendere il posto (sotto le lenzuola) della ormai logorata Strepponi. Quanto a competenza sui vini, Verdi non aveva rivali. Aveva un debole per i Bordeaux e al vino dedicò uno dei passaggi più noti di tutto il teatro musicale: "libiamo, libiamo nei lieti calici"!