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Il processo civile italiano guarda a Bruxelles

, di Marcello Gaboardi - associato presso il Dipartimento di studi giuridici
Tra le novita' dell'ultima riforma, anche l'art. 363bis che regola il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione in caso di gravi difficolta' interpretative. Un meccanismo simile a quello presente nell'ordinamento dell'Unione europea che ha lo scopo di assicurare chiarezza e uniformita' all'interpretazione della legge in tutto il territorio dell'Unione

Nei primi mesi del 2023 è entrata in vigore l'ultima riforma del processo civile italiano (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), che ha introdotto una serie di significative innovazioni al Codice di procedura civile (c.p.c.). Anche in questa occasione, l'obiettivo principale è stato quello di ridurre i tempi irragionevoli del processo, favorendo ad esempio il ricorso ad un procedimento semplificato per la decisione delle cause meno complesse e rendendo più difficile l'impugnazione delle sentenze e l'apertura di ulteriori gradi di giudizio.
Tra le novità più interessanti vi è certamente l'art. 363-bis c.p.c., che regola il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione.

La disposizione si riferisce al caso in cui il giudice civile sia chiamato a risolvere una questione di diritto che presenti "gravi difficoltà interpretative". Si tratta di una eventualità tutt'altro che remota se si considera che la principale attività del giudice nel processo è proprio l'applicazione della legge ai fatti accertati. Siccome applicare la legge significa interpretarne il significato nei casi in cui questo sia oscuro o incerto, è evidente che vi possono essere moltissime ragioni per dubitare del significato della legge e della sua applicabilità a un caso concreto. In base alla nuova disposizione, quando i dubbi sul significato della legge siano particolarmente seri, il giudice civile può rinunciare a esaminare autonomamente la questione per rimetterne la soluzione alla Corte di cassazione. Al fine di prevenire abusi e garantire l'efficienza della procedura, la disposizione esclude inoltre che il giudice possa rinviare la questione (i) quando la stessa non può ritenersi "nuova" perché già risolta in precedenti decisioni della Corte e (ii) quando non appare suscettibile di presentarsi "in numerosi giudizi".

Qual è lo scopo di questa norma? E perché potrebbe essere molto importante per il buon funzionamento della nostra giurisprudenza? La previsione del rinvio pregiudiziale riflette un meccanismo che era già conosciuto, oltre che nel sistema giuridico francese, nell'ordinamento dell'Unione Europea (U.E.). Da molti anni, infatti, l'art. 237 del Trattato dell'U.E. consente ai giudici nazionali di rivolgersi alla Corte di Giustizia per ottenere l'interpretazione di una norma europea che dev'essere applicata in una lite pendente. Il meccanismo persegue lo scopo di assicurare chiarezza e uniformità all'interpretazione della legge in tutto il territorio dell'U.E., evitando che le decisioni dei giudici nazionali possano produrre interpretazioni contraddittorie delle stesse regole. Analogamente, l'art. 363-bis c.p.c. ambisce a uniformare l'interpretazione della legge italiana nei casi in cui il suo significato sia gravemente incerto e suscettibile di applicazioni difformi o sbagliate da parte dei giudici inferiori.

Ma la nuova disposizione va letta anche in relazione alla funzione che la legge assegna alla Corte di cassazione. Quest'ultima non è solo il giudice di ultima istanza per le cause civili e penali, ma è anche un organo a cui la legge assegna la funzione di garantire l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge su tutto il territorio nazionale. Questa funzione, generalmente descritta con il termine nomofilachia (letteralmente: custodia della legge), impone alla Corte, che è giudice di legittimità, di chiarire il significato della legge risolvendo i contrasti interpretativi e offrendo interpretazioni chiare ed efficaci della legge: oggi questa funzione è assolta anche prevenendo i potenziali dissensi interpretativi mediante il rinvio pregiudiziale.