Il Premio Nobel per la pace Shirin Ebadi in Bocconi
A Marco Cattini, docente di Storia economica in Bocconi, è spettato il compito di tracciare l'intenso profilo di Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace nel 2003, ospite il 15 giugno scorso in Università.
Di origine iraniana, Shirin Ebadi è stata chiamata nel 1975 a presiedere la corte urbana di Teharan, divenendo la prima donna giudice del suo paese, incarico che mantenne fino al 1979, quando la rivoluzione islamica escluse le donne dalla magistratura in quanto "troppo emotive per fare i giudici".
Avvocato e docente all'università della capitale iraniana, oltre che autrice di libri e trattati sui diritti umani, e in particolare sui diritti dei bambini, Ebadi è considerata il massimo portavoce dell'Islam riformato e si batte da oltre vent'anni per il rispetto dell'uguaglianza di fronte alla legge, della libertà religiosa e di parola. Perseguitata e imprigionata, è stata anche sottoposta a un processo segreto per aver prodotto e diffuso una videocassetta sulla repressione anti-studentesca del luglio 1999.
Nel 2000, a seguito della sua partecipazione a una conferenza a Berlino sul processo di democratizzazione in Iran che provocò grande clamore e la pronta reazione dei poteri conservatori di Teharan, fu condannata a quindici mesi di carcere e a quindici anni di privazione dei diritti civili. La pena le fu abbonata grazie all'interessamento di Amnesty International.
Scelta per il suo impegno in difesa della democrazia e dei diritti umani, Shirin Ebadi inizia la sua 'lezione' agli studenti dell'Aula Magna sostenendo che "nessuna società merita di essere definita civile se i diritti delle donne e dei bambini non vengono rispettati. Nell'introduzione della Dichiarazione Universale dei diritti umani si parla di un mondo ideale, protetto dalla crudeltà, tuttavia nell'arco dei cinquantacinque anni trascorsi dalla sua approvazione l'essere umano non è mai rimasto al riparo dalle guerre. La paura e l'insicurezza dettati dai fatti avvenuti negli ultimi decenni nei paesi con regime totalitarista o sottosviluppati si sono estesi oggi anche ai paesi sviluppati".
In un mondo dove un sesto della popolazione guadagna meno di un dollaro al mese, tragedie come fame, povertà, sottosviluppo, mancanza di sanità e medicinali continuano ad avanzare. Il motivo di tale situazione va ricercato, secondo Ebadi, nell'assenza di una radicale lotta per estirpare alla radice la causa delle guerre avvenute negli ultimi anni.
"Teoricamente, mezzi e strumenti (quali patti e accordi internazionali) sono stati creati allo scopo di eliminare la discriminazione razziale e religiosa e rispettare i diritti civili, politici, sociali e culturali, ma in pratica- sostiene Ebadi - la Carta dei diritti universali dell'uomo è diventata solo una raccolta di consigli per i diritti morali. Passeranno ancora molti anni prima che il mondo acquisisca veramente questi intendimenti".
Senza la libertà non si arriva alla giustizia sociale, tuttavia la libertà da sola non può risolvere il problema della povertà. Il gap tra paesi sviluppati e sottosviluppati è, infatti, ancora grandissimo: in Sierra Leone la media di vita della popolazione è di 34 anni e mezzo, mentre in Giappone sale a 83 anni e mezzo; il reddito pro-capite dell'82% della popolazione dell'Uganda è meno di un dollaro al giorno, in Scandinavia, invece, la percentuale della disoccupazione si aggira al di sotto dell'1%; in Angola ogni 1000 nascituri muoiono 154 bambini per carenza di igiene e povertà, mentre in America l'indice di mortalità è tra l'1 e i 10 bambini su 1000 nati. Occorre un largo sostegno e l'allargamento della partecipazione mondiale per colmare questo gap e attuare precisi intenti a favore dello sviluppo.
Per Ebadi la concessione di prestiti e crediti per lo sviluppo di un paese è sì la strada più facile che si possa percorrere, ma è anche la più pericolosa e dannosa. In paesi dove tutto il potere è in mano a una sola persona o a un gruppo ristretto, concedere prestiti vuole dire favorire solamente il lusso di regimi totalitari e calpestare nel contempo i diritti delle persone che non sono membri del partito al potere o che fanno parte delle minoranze. In questo modo la democrazia viene ignorata e il popolo oppresso si trova a pagare imposte indirette e dirette per sdebitarsi di prestiti fatti ai propri dittatori e non all'intero paese: quasi un ottavo della popolazione mondiale nasce, infatti, già indebitata.
"Non risulta difficile capire - continua Ebadi - come nel momento in cui questi stessi dittatori vengono deposti, il popolo per anni oppresso guarderà con odio anche i paesi che hanno concesso tali prestiti, in qualità di complici nel prolungamento della loro disperazione".
Per evitare che rabbia e rancore divengono nemici della ragione e si continui a creare insicurezza e violenza, Ebadi afferma che occorre esaminare se vengono rispettate le condizioni del prestito. Senza il rispetto dei diritti umani non si ha sviluppo economico. Libertà di parola e di stampa indipendente sono elementi tra i più importanti per la salute della società, in quanto in qualunque paese risultano essere l'unico vero ostacolo per non permettere al potere di approfittare del popolo.
L'intervento del Premio Nobel è proseguito con una menzione particolare alla condizione femminile: il potere che non dà importanza e peso alla partecipazione femminile ignora la metà della popolazione di un paese, prima ancora che ignorare le donne stesse. I diritti dell'essere umano, donna o uomo che sia, sono accessibili solo attraverso la democrazia e non vanno considerati in qualità di merce da importare. Il loro rispetto deve, quindi, fare parte della cultura nazionale e va sottolineato nella Carta di ogni paese. Ebadi ha concluso sostenendo che l'allargamento alla partecipazione mondiale si realizzerà solo "quando la Comunità internazionale deciderà di non concedere più prestiti, crediti e armi ai governi non democratici e in tal modo li costringerà a cambiare il loro sistema di governo".