Il mito del posto fisso
"Io voglio fare il posto fisso!" recita Checco Zalone. Le cronache sono piene di aneddotica su quanto gli italiani anelino al pubblico impiego. Ottenerlo li rende più felici di chi ha un impiego come dipendente privato? Con Alessandro Bucciol (Università di Verona), cerchiamo di rispondere a questa domanda nel nostro lavoro "Is there a happiness premium for working in the public sector? Evidence from Italy", recentemente pubblicato sul Journal of Behavioral and Experimental Economics. La risposta sintetica è sì, ma solo per alcuni. Nel nostro lavoro analizziamo le risposte al "Survey on Household Income and Wealth" della Banca d'Italia dal 2004 al 2016. Come è comune nella vasta letteratura su economia e felicità, la nostra misura d'interesse è la felicità dichiarata, in una scala da 0 a 10. La domanda recita: "Considerando tutti gli aspetti della tua vita, quanto felice diresti di essere?". Nel nostro lavoro, mettiamo in relazione la felicità dichiarata dai lavoratori dipendenti italiani con le loro condizioni economiche e con il loro status di impiegati pubblici o privati. Troviamo evidenza che migliori condizioni economiche portano a maggiore felicità. Anche il pubblico impiego porta maggiore felicità rispetto a un impiego privato, ma non per tutti! Solo i lavoratori in condizioni economiche più svantaggiate godono di questo vantaggio.
I lavoratori in condizioni economiche medie o alte esprimono una felicità simile, indipendentemente dalla natura del loro impiego. Per dare un'idea dell'importanza del pubblico impiego, lavoratori con ricchezza di circa €20.000 e impiego pubblico esprimono livelli di felicità simili a lavoratori impiegati nel privato con ricchezza di circa €162.000. Ipotizziamo due ragioni per questo. Primo, il prestigio sociale e la soddisfazione lavorativa date dal pubblico impiego potrebbero essere più rilevanti per lavoratori che non godono di prestigio economico. Secondo, la stabilità data dal pubblico impiego potrebbe essere più rilevante per lavoratori che avrebbero maggiori difficoltà a trovare un nuovo impiego in caso di licenziamento, visto che condizioni economiche peggiori sono tipicamente associate a impieghi meno qualificati. Nei nostri dati troviamo indizi che suggeriscono come queste due conclusioni siano ragionevoli. In particolare, osserviamo che i lavoratori pubblici con condizioni economiche basse hanno passato una maggiore parte della vita lavorativa nel loro impiego attuale, rispetto ai dipendenti privati con condizioni economiche basse. Non osserviamo la stessa differenza tra lavoratori pubblici e privati con medie o alte condizioni economiche. Questo suggerisce che i lavoratori pubblici in basse condizioni economiche sfruttino la maggiore stabilità data dall'impiego pubblico, in maniera relativamente più forte rispetto ai lavoratori privati.
In alcune edizioni del sondaggio troviamo anche altri indizi che suggeriscono una maggior stabilità percepita e soddisfazione lavorativa dei lavoratori pubblici rispetto ai lavoratori privati, ma solo per individui in condizioni economiche svantaggiate. Infine, non troviamo differenze nella felicità data dal pubblico impiego tra zone geografiche o nel tempo. In conclusione, gli italiani amano il posto fisso, ma solo se vivono in condizioni economiche svantaggiate. In queste condizioni, la stabilità e soddisfazione lavorativa date dal pubblico impiego sono più marcate. Questo suggerisce un meccanismo razionale per la diffusa propensione al pubblico impiego, rispetto a meccanismi puramente psicologici o emotivi.