Il crimine organizzato avvelena la società aperta
Una potenza economica, quella del crimine, che produce ogni anno almeno 100 miliardi di euro di fatturato e la cui forza militare soggioga la società civile e preclude il realizzarsi di una società aperta, ossia di quella società che fonda sul rispetto delle regole il suo principio. Il tema è stato affrontato in Bocconi al convegno "Società aperta, legalità e crimine organizzato", nell'ambito dei lavori del forum internazionale promosso dall'Università insieme al Corriere della Sera.
A Pierluigi Vigna, già procuratore antimafia, il compito di ripercorrere le tappe che hanno portato all'evolversi, dal primo dopoguerra in avanti, del fenomeno mafioso: "Nella prima fase gli interessi della criminalità organizzata si sono concentrati sui beni immobili, nell'agricoltura e nell'edilizia. A partire dagli anni Sessanta, si sono spostati invece verso i beni mobili. Spostamento che ha provocato anche l'arrivo in Italia di teste di ponte di altre organizazzioni straniere. Con gli anni '90, poi, cioè con l'articolo 416 bis, l'impresa mafiosa ha cambiato ulteriormente volto, diventando impresa a partecipazione mafiosa". Vigna, che ha sottolineato quanto in passato i finanziamenti pubblici abbiano contribuito ad alimentare economicamente il fenomeno mafioso, ha puntato il dito sul senso di sfiducia che il crimine è innanzitutto in grado di instillare nella società civile. "È questo il vero terreno di sfida", ha detto l'ex procuratore, "dobbiamo riuscire a riportare la fiducia nelle persone, altrimenti non riusciremo mai a batterlo".
Le dimensioni e le caratteristiche del fenomeno criminale sono state poi riassunte durante la prima sessione dei lavori. "Il crimine conosce i mercati meglio dei policy maker", ha esordito Ferruccio De Bortoli, direttore del Sole 24 Ore. "È stato calcolato che il solo fatturato del riciclaggio valga il 9% del prodotto mondiale. E mentre il fenomeno criminalità è amplificato dalla globalizzazione, la lotta al crimine si globalizza assai meno". Organizzazioni criminali che agiscono sul territorio secondo una logica a cerchi concentrici, secondo la metafora utilizzata da Michele Polo, direttore del Dipartimento di economia della Bocconi: "Dall'interno verso l'esterno, il controllo locale si esplica attraverso cerchi di attività che partono da quelle svolte unicamente dalla criminalità, come i traffici di droga e di armi, passano per quelle svolte in concorrenza con lo stato, come lo smaltimento dei rifiuti, per arrivare agli investimenti nella finanza e nell'immobiliare".
Una delle piaghe della criminalità sulla quale si è concentrato il dibattito è l'estorsione, che secondo Antonio La Spina, dell'Università di Palermo, è il vero core delle organizzazioni di stampo mafioso, sebbene non sia sempre l'attività più redditizia. Alcuni dati, riferiti a circa 2.300 episodi estorsivi in Sicilia, dipingono un quadro sconfortante: "La sola estorsione vale 10 miliardi di euro in Italia e in Sicilia il peso economico per provincia va da 147 (Catania) a 260 euro per abitante (Trapani). È tuttavia difficile avere un quadro chiaro della situazione poiché i dati si rifanno solo agli episodi già accertati". Per l'economia siciliana, ma la stima è prudenziale, i costi diretti dell'estorsione ammonterebbero ad almeno 1 miliardo di euro, "1,4% del pil regionale".
Ma insieme all'estorsione c'è il riciclaggio, soprattutto in un paese come l'Italia che, come ha sottolineato Donato Masciandaro, ordinario di economia politica alla Bocconi, "usa molto, troppo, il denaro contante". "Abbiamo comunque un'ottima regolamentazione nella lotta al riciclaggio, siamo anzi uno dei paesi con le normative migliori". Tra le segnalazioni di casi di riciclo di denaro sporco si segnala la Lombardia, che "è la regione nella quale si registra il maggior numero di segnalazioni rispetto al numero di conti correnti. E sempre la Lombardia si segnala per la maggior rilevanza delle operazioni segnalate". Operazioni che, nel complesso, in Italia hanno riguardato 2.300 milioni di euro.
Riguardo alle strategie di lotta al crimine, Alberto Alessandri, ordinario di diritto penale alla Bocconi, ha sottolineato quanto "non sia sufficiente il solo enforcement del potere pubblico", ma come sia necessario che "intervengano la società civile e il mondo delle imprese, le quali devono contribuire a migliorare la comprensione del fenomeno". Le imprese, inoltre, possono farlo però solo grazie alla cooperazione con organi di governo sul territorio, "tra i quali, soprattutto i prefetti, che hanno una maggiore conoscenza del territorio". È d'accordo Giosué Marino, commissario nazionale antiracket, che riguardo ai temi dell'usura e dell'estorsione ha ricordato quali devono essere gli obiettivi delle istituzioni nella lotta al crimine: "Bisogna lavorare affinché sia condivisa la necessità della denuncia, ma lo stato non deve dimenticare le azioni di prevenzione e il sostegno alle vittime". Tra gli strumenti di cui lo stato dispone c'è anche la legge 108/96, che "innova profondamente la disciplina dell'usura e consente l'aggressione del patrimonio dell'usuraio, cosa fondamentale". Per Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, "all'azione formidabile dello stato degli ultimi anni", per evitare che la mafia continui a infiltrasi nella società civile, "è necessaria una mobilitazione di quest'ultima, una decisa saldatura tra stato e società. In passato, lo 'stato lontano' ha rappresentato spesso un alibi".