Contatti
Persone Roberta Ventura

Il capitalismo consapevole di Roberta

, di Camillo Papini
Fondatrice del marchio Sep, che nasce nel campo profughi di Jerash, in Giordania, per portare nel mondo il ricamo tradizionale delle donne palestinesi, l’alumna Bocconi racconta la sua visione e quella della sua azienda, che ha ridato la dignità del lavoro a 600 donne

Ci sono vari aspetti dell’impatto sociale del marchio Sep che colpiscono subito l’attenzione: lavorare con 600 rifugiate palestinesi nel campo di Jerash in Giordania, recuperare la tecnica tradizionale del ricamo palestinese, aver avviato stabilmente sul mercato (nel 2014) l’impresa sociale Sep. Eppure, parlando con la sua fondatrice e a.d. Roberta Ventura, ci si accorge che il termine più ricorrente nelle sue parole è fiducia. È così infatti che l’alumna dell’Università Bocconi, laureata in Economia aziendale (Clea), definisce il posizionamento del marchio, “un posizionamento di fiducia” perché costruito sulla fiducia data dalle donne del campo e su quella di chi compra abiti, accessori, scialli e stoffe per la casa brandizzati Sep, tutto realizzato per un mercato alto di gamma grazie a materiali made in Italy come cashmere o cotone organico. “Se un consumatore paga un prezzo importante per un capo di abbigliamento, è incentivato a sviluppare una percezione più alta sia dell’oggetto in sé, perché ne riconosce il valore aggiunto della manifattura, sia soprattutto di chi lo ha realizzato. Nel nostro caso non più rifugiate, bensì lavoratrici con la loro dignità o, come le definisco io, artiste”, spiega Roberta Ventura. 
La manager che viene dal mondo della finanza e del lusso riconosce che si tratta, spesso, di un lento percorso di consapevolezza, da parte del consumatore, ma parla ugualmente di “capitalismo consapevole”, evoluzione costruttiva di un tradizionale capitalismo, dove si accetta la sfida di avere margini più bassi perché si è attenti a essere sostenibili e si affrontano dunque costi più alti. “Paghiamo a ogni artista, in modo proporzionalmente uguale, a seconda della difficoltà del ricamo e preziosità del tessuto, un ricco premio rispetto agli standard di mercato per oltrepassare la soglia di povertà, per iniziare a progettare di possedere una casa o di far studiare i figli”, sottolinea l’a.d. di Sep, che dal 2020 è una B-Corp e ha concluso il suo primo round di finanziamento nel 2022.

Nonostante la prospettiva economica, non sarà stato immediato conquistare la fiducia delle donne palestinesi di Jerash…
Noi siamo i primi a lavorare stabilmente dentro il campo, costruito nel 1968. Le rifugiate, palestinesi e siriane, si erano già rapportate con gli occidentali ma sempre per progetti che finivano per interrompersi. Il primo approccio con noi, quindi, è stato all’insegna dello scetticismo. Dopo è subentrata l’eccitazione perché riuscivamo a vendere quello che avevano ricamato. Tuttavia, dopo ancora c’è stato un momento di timore perché la nostra produzione cresceva più delle vendite. Quando hanno compreso che nessuna veniva lasciata indietro, è nata la fiducia. Dopo 10 anni. 

Che cos’è il capitalismo consapevole?
Il capitalismo consapevole poggia su 3 pilastri. Nella cornice più ampia dell’Esg e della sostenibilità, due impostazioni che tardano a decollare almeno nella moda, c’è da una parte il consumatore, che però oggi non alza abbastanza spesso la voce per fare domande sull’impatto sociale e ambientale di quello che compra dalle griffe. Se volesse, potrebbe imprimere una svolta rapida al capitalismo di oggi. Dall’altra parte, ci sono le aziende da tempo sul mercato. Per loro adeguarsi ai criteri Esg è come far cambiare rotta a un transatlantico. Invece, per le imprese native sostenibili è più naturale. Terzo soggetto sono gli investitori a cui mancavano gli incentivi per essere coerenti con le tematiche sociali, ambientali e di governance. Oggi esistono standard di accounting e sistemi di multipli che sanno catturare il valore di un’azienda sulla base dei suoi vari impatti. Il tutto lungo percorsi a tappe da rispettare.

La dimensione professionale riesce a esaudire le aspirazioni delle artiste?
Lavorare per Sep, innanzitutto, significa uscire dalla depressione della vita in un campo profughi con 50 mila rifugiati, appesi agli aiuti umanitari. Contribuisce inoltre a migliorare la qualità della vita e a concedersi di sognare nuovamente, facendo progetti per il futuro. In questa ottica, organizziamo una serie di attività su richiesta diretta delle artiste. Chiedono corsi d’inglese per i figli, corsi di educazione alimentare per loro, di mindfulness o per mantenere un buon equilibrio di salute mentale. Dalla pandemia abbiamo sviluppato un mobile wallet (portafoglio digitale via mobile, ndr), per accreditare gli stipendi. Questo ha contribuito a raggiungere un primo livello di consapevolezza finanziaria.

I vostri prodotti ricamati devono passare un controllo qualità interno, prima di essere distribuiti. Cosa succede se l’esito è negativo?
Abbiamo concordato con le artiste che il lavoro può essere rifatto in modo da garantire uno stipendio comunque prevedibile. Ma l’accordo è che ciò avvenga sebbene le ore di lavoro siano di più. È un deterrente a non abbassare il livello di qualità del loro lavoro, visto che ci rivolgiamo a un segmento di mercato di fascia alta e che, in aggiunta, il ricamo palestinese è patrimonio dell’umanità secondo l’Unesco.

Avete portato una mentalità di business, di lungo periodo, del settore privato nel Terzo Settore. Cosa può apprendere, invece, il privato dal Terzo Settore?
Io credo che, a tendere, le aziende assumeranno una forma ibrida, un po’ come noi. Pubblico e privato convergeranno. Probabile è che sarà soprattutto il non-profit puro a occuparsi delle emergenze, come in caso di conflitti, mentre il privato metterà a disposizione la sua capacità di fare business anche dove, in passato, interveniva solamente il non-profit.

Che futuro prevede per Sep?
Il brand è già cresciuto allargandosi al settore casa e a quello beauty, con il suo primo profumo. Ma, più in generale, puntiamo a consolidare nel breve periodo il marchio a livello globale. Successivamente, nel medio-lungo termine valuteremo se iniziare a lavorare con altre comunità di rifugiate, magari anche in differenti aree geografiche.