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I tempi di Ravel

, di Giovanni Iudica - ordinario di diritto civile e direttore della Scuola di giurisprudenza della Bocconi
Il genio e la nascita del Bolero

Joaquìn Nin non meriterebbe di essere ricordato, tanto meno come pianista o compositore, se non fosse per due fatti che hanno attraversato la sua vita. Il primo è che fu il padre di quella Anaïs Nin, dai costumi non propriamente virtuosi, autrice di libri di memorie pruriginose. Il secondo è che ebbe modo di accompagnare, insieme alla moglie, una ballerina franco danese, il grande Maurice Ravel in un viaggio a Saint Jean de Luz e di ospitarlo nella sua villa sul mare. Joaquìn piaceva molto a Ravel: era un bell'uomo. Arthur Rubinstein, nel suo libro autobiografico, Grande est la vie, descrive così questo modesto musicista di origine cubana: "Era senz'altro bello: fisicamente ben strutturato e con un viso dai lineamenti regolari. Portava i capelli lunghi come un personaggio del 1830, un po' come Robert Schumann. Sapeva di essere bello e se ne compiaceva".

Il viaggio era lungo. Fecero sosta ad Arcachon. La sera, in un ristorante sul mare, dopo una bella cena a base di ostriche e Sancerre, con le sigarette che si accendevano l'una dopo l'altra, davanti a un bicchiere di Armagnac, Joaquìn chiese a Ravel quali fossero i suoi progetti per l'estate. Ravel rispose che stava orchestrando qualche numero di Iberia, di Albeniz. Avrebbe affidato questo suo nuovo pezzo all'arte sublime della grande étoile parigina Ida Rubinstein. Joaquìn, usando tutto il suo tatto, disse all'amico che quel progetto sarebbe stato irrealizzabile. Infatti, i pezzi di Albeniz erano già stati orchestrati da Enrique Arbòs e l'editore si era assicurato il diritto di esclusiva. Insomma, c'era di mezzo un vincolo legale! Forse per il troppo vino, o per l'Armagnac, o per la dolcezza di quella serata sul mare, fatto sta che Ravel non si scompose. Si limitò a rispondere, semplicemente: "Je m'en fous!", me ne infischio. La mattina dopo, a mente lucida, chiese a Joaquìn di informarsi bene con l'editore e questi confermò la risposta categorica che balletto, musica e scenario erano rigorosamente protetti. "Un bel guaio!" pensò Ravel e poi disse: "La mia stagione è bell'e rovinata. Queste leggi idiote! E adesso cosa dirò a Ida? Sarà furiosa". Prima di andare in spiaggia per fare il bagno, avvolto nel suo accappatoio giallo, provò con un dito un nuovo tema, dicendo al suo amico Joaquìn: "Ida Rubinstein mi chiede un balletto. Non trovate che questo tema abbia una certa insistenza? Cercherò di ripeterlo un buon numero di volte senza svilupparlo, ma graduando meglio che posso l'orchestra". Stava nascendo il suo Bolero. Il successo di quest'opera fu planetario: basti pensare che nel solo anno 1939 se ne realizzarono ben 25 incisioni.Ravel aveva idee precise sulla fisionomia e sui tempi del Bolero. Doveva restare una "pura tessitura orchestrale senza musica" e doveva durare diciassette minuti esatti. Non un secondo di più e non uno di meno. Una volta, in un teatro parigino, il Bolero fu diretto da Arturo Toscanini. Ravel era presente, nel palco di proscenio. Le ultime note del capolavoro, scatenate in un irresistibile fortissimo, furono salutate da un'autentica ovazione. Il mitico maestro italiano si inchinava al pubblico osannante, che richiedeva a gran voce che anche il compositore, notato da tutti, venisse sul palco a condividere il trionfo. Ravel ostentatamente non si mosse dal palco. Poi, ad alta voce, in maniera da essere sentito non solo dal maestro, disse. "Trop vite, trop vite!", Troppo in fretta, troppo in fretta. L'esecuzione toscaniniana durò qualche minuto meno dei fatidici diciassette! I rapporti tra Toscanini e Ravel, che già non erano dei migliori, dopo quella memorabile serata parigina, peggiorarono ulteriormente.