I fondamentali del petrolio
Tra settembre e dicembre 2014 il prezzo del paniere di 12 greggi dell'Opec è passato da 100 a 50 dollari al barile e a gennaio è sceso a sfiorare i 40. Un dimezzamento, in quattro mesi, del prezzo di una materia prima fondamentale come il petrolio è un fatto straordinario? Quali sono le cause? E le conseguenze? Chi ha memoria storica sa che non è raro che il prezzo del petrolio subisca brusche variazioni. Negli ultimi trent'anni si contano sei episodi di ribassi di almeno il 30% in sei mesi. L'ultimo nel 2008, quando il prezzo è sceso da 140 a 35 dollari tra luglio e dicembre. Ma l'evento forse più significativo avvenne tra il 1985 e il 1986 quando, a seguito della decisione saudita di aumentare la produzione, il prezzo diminuì di più del 60% in un mese. Questo episodio segnò la fine della convinzione che il prezzo del petrolio fosse destinato solo a salire.
Le cause della variabilità del prezzo del petrolio sono molteplici, ma al fondo vi è il fatto che sia la domanda che l'offerta hanno un'elasticità-prezzo molto bassa nel breve periodo. Tra le cause che sono state indicate vi sono però anche la speculazione e il controllo collusivo dell'offerta da parte dell'Opec. L'importanza della speculazione deriva dal fatto che oggi il prezzo del petrolio si forma sulle borse di New York e Londra, dove vengono scambiate quantità molto superiori ai consumi reali. Certamente la volatilità dei mercati finanziari è molto alta e molto più facile da ottenere che sui mercati fisici. Tuttavia studi e inchieste di commissioni di borsa o governative hanno concluso che la speculazione non è stata in grado di alterare in modo duraturo il prezzo di mercato. Allo stesso modo, il potere di mercato dell'Opec come organizzazione è più apparente che reale: la maggior parte dei membri non è in grado di modulare la produzione. Solo l'Arabia Saudita (e pochi altri) sono in grado di farlo, favorendo situazioni di abbondanza o di scarsità. Ma l'abbondanza sistematica non è nell'interesse dei fornitori e la scarsità per difendere il prezzo può essere sostenuta solo per un periodo. È questa la lezione che l'Arabia ha imparato a proprie spese nel 1985.
In definitiva sono i fondamentali e le aspettative su di essi che guidano il prezzo del petrolio. In questo momento vi è un eccesso di offerta dovuto all'aumento della produzione (soprattutto americana) e una domanda fiacca. Dopo che l'Opec (cioè l'Arabia) a fine novembre ha annunciato l'intenzione di non ridurre la sua produzione, si è diffuso il convincimento che questa situazione durerà almeno per alcuni mesi e che le scorte continueranno ad aumentare. Nel contempo i rischi geopolitici (conflitti in medio-oriente, crisi Ucraina e impatto sul commercio con la Russia, crisi nel Nord Africa) non appaiono più in grado di riequilibrare il mercato riducendo drasticamente l'offerta. Da qui la revisione delle aspettative, la presa d'atto del surplus e la drastica riduzione del prezzo.
Le conseguenze? A livello globale ci si aspetta che una riduzione stabile del 30% del prezzo del petrolio faccia crescere dello 0,5% il pil mondiale, ma con effetti diversificati. Infatti il ribasso del prezzo produce una variazione del reddito reale che avvantaggia i paesi importatori e svantaggia gli esportatori di greggio. Nei paesi importatori un ribasso stimola la crescita dei consumi e in generale del pil, anche se la reale diminuzione del prezzo non può prescindere dall'andamento dei tassi di cambio (in questo periodo il dollaro si è apprezzato rispetto all'euro annullando per l'Ue il 15% della riduzione del prezzo del greggio). In ogni paese bisognerà poi vedere quale sarà la reazione dei consumatori e dei governi e quali politiche pubbliche saranno attuate. Per l'Italia, grande importatore di petrolio e gas (il cui prezzo è in parte agganciato a quello del petrolio), la riduzione del prezzo è senz'altro positiva e potrebbe aiutare a superare la decrescita del pil. A patto che i consumatori incrementino i loro acquisti e che il governo non decida di aumentare le accise.