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Persone Giovanna Li Perni

Fare la cosa giusta

, di Diana Cavalcoli
Cambiare il mondo stando sempre dalla parte dei più deboli: questo il sogno realizzato da Giovanna Li Perni. Prima operando sul campo e ora operando per dare a chi a preso il suo posto le risorse per farlo

Quando aveva tredici anni Giovanna Li Perni sognava di cambiare il mondo prendendo le decisioni giuste. E quel “giuste” lo rimarca con passione mentre beviamo il nostro caffè. Oggi che è Head of Private partnerships e Philanthropy per UNHCR (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) in Italia, si occupa di gestire le grandi donazioni in supporto ai progetti in favore di chi è dovuto fuggire a causa di conflitti e persecuzioni. Il che significa dare risorse e strumenti a chi ha perso tutto. Racconta: “Sono siciliana, di Vittoria, vicino Ragusa. Ho sempre saputo di voler girare il mondo, fin da piccola sono poi stata una scout. Una scuola di vita incredibile che mi ha aperto gli orizzonti. Parte di chi sono oggi lo devo a quell’esperienza: mi ha permesso di capire cosa significa lavoro di squadra e come si guida un gruppo di persone”.

Laureata nel 1995 in Discipline Economiche e Sociali alla Bocconi, Li Perni si trasferisce a Milano dove continua l’attività di scout Agesci. Trascorre l’ultimo anno di università a Buenos Aires dove scrive la sua tesi sui costi sociali dei programmi di aggiustamento strutturale in Argentina. Lì si rafforza la sua volontà di lavorare per gli ultimi: “Volevo mettere le mie competenze al servizio dei più poveri e non delle grandi aziende”. Per farlo va sul campo. Arricchisce la sua formazione con un master in economia dello sviluppo alla Swansea University e lì avvia un progetto di ricerca sugli aiuti italiani in Albania. “Con un approccio a metà tra la ricercatrice e la giornalista, ho intervistato decine di persone, dai funzionari dell’UE alle ONG. Facevo tantissime domande e soprattutto scomode” ride. 

Nel 1997 è a Sarajevo come cooperante in una ONG per aiutare le donne sfollate da Srebrenica. “Sono rimasta quattro anni in Bosnia dove abbiamo creato due centri multi-servizi in cui offrivamo assistenza legale, psicologica e medica, e formazione imprenditoriale. Ricordo queste donne che avevano subito cose indicibili… quando capivano che volevamo davvero aiutarle si scioglievano.” 

Nel 2001 decide di rientrare in Italia, a Roma, ma non è semplice. “In Bosnia gestivo più centri in tutto il paese (ne abbiamo aperti anche per i giovani, oltre che per le donne), trattavo con i capi locali, coordinavo sessanta persone, nel mio paese invece venivo percepita e trattata come una giovane nessuno.” Fa quindi application per le Nazione Unite e viene scelta ma rifiuta il posto. “Dovevo sposarmi di lì a poco, lavorare all’ONU avrebbe significato trasferirsi. Così chiedo che congelino la mia posizione.” Intanto consegue il Master in Peacekeeping e Security Studies a Roma Tre. Poi il campo chiama. Vola in Russia con un’altra ONG nell’area di Kaliningrad per un programma contro la violenza sulle donne dal 2005 al 2010. “Durante una delle prime missioni scopro di essere incinta e che la gravidanza è a rischio: devo stare a letto e vengo ricoverata nell’ospedale di Kaliningrad noto per essere ‘l’abortificio’. Le infermiere, severe con tutte, erano premurose con me perché ero l’unica paziente che voleva avere un figlio. Mi hanno sommersa di amore nonostante non avessimo una lingua comune per comunicare e fossi una straniera.” Un mese dopo Li Perni viene trasferita in Italia e darà luce alla sua Sara in sicurezza. La maternità le dà una carica in più anche sul lavoro. “Sono tornata a lavorare presto e posso dire che fin da piccola Sara ha camminato con me. Un po’ per passione un po’ per carattere l’ho sempre coinvolta nel mio mondo e nel mio lavoro” aggiunge.

Un mestiere che è passato dalla cooperazione al fundraising. Nel 2008 Li Perni è Head of Major Donor & Legacy di UNICEF e nel settembre 2013 arriva la chiamata da UNHCR. A cui dice sì con entusiasmo per la causa. “Oggi non sono più sul campo, all’inizio è stato difficile da accettare, ma so di lavorare affinché chi è lì abbia le risorse per fare bene.”