Elisabetta e la creazione di valore. A tutto tondo
“Lo ammetto: non amavo per niente l’economia “aziendale”. Al momento di iscrivermi in Bocconi scelsi il Des, il corso di allora in Discipline economiche e sociali, perché ero convinta che ci sarebbe stato tanto sociale e poca economia. Non era così, era di fatto un corso di laurea in matematica e statistica; ho scoperto che le materie quantitative potevano essere molto appassionanti e che sapevo cavarmela bene anche in quelle”. Oggi l’analisi dei dati e la confidenza con i numeri è parte della quotidianità di Elisabetta Frontini, Global Head of Portfolio team nella società di private equity Permira, che vi unisce però l’esperienza di anni nello sviluppo di brand del settore consumer e fashion. “Dopo la laurea ho iniziato a lavorare nella consulenza in McKinsey e ci sono rimasta dieci anni, quasi un record, diventando una delle pochissime donne Partner”, sorride la manager. “A quel punto la carriera in consulenza mi sembrava diventare un po’ ripetitiva, un lavoro più di relazioni che di vero business e nel quale la curva di apprendimento si stava riducendo. Io invece volevo ancora imparare e, siccome nel frattempo avevo seguito un master MBA a Stanford che mi aveva incuriosita sulle dinamiche del private equity, ho guardato in quella direzione. Quando è arrivata la chiamata della famiglia Ferrero, non ci ho pensato un attimo e mi sono trasferita ad Alba”. Lavorando a stretto contatto con il top management, Frontini ha iniziato a mappare le possibili acquisizioni e a impostare quella fase di m&a e di espansione dei brand su scala globale che prosegue tuttora. “Dopo l’improvvisa scomparsa di Pietro Ferrero e il trasferimento dell’azienda in Lussemburgo ho preferito cambiare e andare a Londra, da Permira appunto, che allora aveva solo un team molto piccolo (di sole 3 persone) dedicato alla value creation delle aziende in portafoglio, focalizzato solamente sulle situazioni problematiche. Negli anni siamo cresciuti tantissimo e abbiamo costruito un team di 26 persone che si occupa di value creation a tutto tondo, a partire dalla diligence alla exit”.
Oltre alla voglia di imparare e agli obiettivi di carriera, a guidare le scelte della manager nel proprio percorso professionale è sempre stata l’attenzione alla qualità delle persone con cui condividere il lavoro. “A maggior ragione perché spesso, sia nella consulenza che nel mondo della finanza, mi sono trovata ad essere l’unica donna nel team”, sottolinea Frontini. “Qualche decennio dopo, mi pare però che la situazione sia cambiata da questo punto di vista. Quando ero agli inizi, mi accorgevo di non avere veri role models a cui guardare: le poche manager presenti ricalcavano il modello maschile proponendo un ideale di donna-uomo che a me non attirava per niente. Oggi solo nel mio team il 60% è composto da donne, scelte per le competenze analitiche, ma anche perché sono più brave nella gestione delle relazioni, un aspetto fondamentale quando sei un’azionista che deve, per esempio, convincere il management di un’azienda a seguirti”. In questo contesto la gestione del “time off”, ovvero dello spazio per gli impegni e gli affetti familiari, diventa quanto mai strategico per un team leader. “Offrire un modello non basta, occorre creare un ambiente favorevole per questa duplice gestione. Innanzitutto in azienda, ragionando sul lungo termine e relativizzando anche eventuali pause, come una maternità, nella prospettiva di un’intera carriera. Poi nella società, maturando la consapevolezza che se una donna rinuncia a lavorare per votarsi alla famiglia o lo fa convintamente o altrimenti è una forma di diseconomia che penalizza tutti. E naturalmente anche in famiglia, dove i compiti devono essere pianificati e divisi 50/50 molto chiaramente, con metodicità, altrimenti alla lunga si sbilanciano naturalmente verso la donna. Credo che per tutti i figli sia meglio avere due genitori parimenti presenti piuttosto che un padre fantasma e una madre sempre col fiato sul collo”.