Dall’Uganda al Trentino, ai vertici dell’azienda di famiglia
“Ho sempre avuto l’idea che lavorare per l’azienda di famiglia fosse una possibilità reale. Ma non l’ho mai data per scontata. Credo che anche gli eredi di una famiglia imprenditoriale abbiano il diritto di cercare la propria vocazione e, allo stesso tempo, non è detto che siano automaticamente le persone più adatte per ricoprire un ruolo nella società. Occorre, insomma, che ci sia una chiamata reciproca”. A Camilla Lunelli, Communication & External Relations Director del gruppo Lunelli (Cantine Ferrari Trento), quella chiamata è arrivata mentre era in Uganda, dove l’aveva portata l’interesse per il mondo della cooperazione internazionale maturato proprio negli anni della Bocconi. “Mi sono laureata con una tesi in economia dello sviluppo e già durante il percorso di studi avevo fatto un’esperienza a New York per l’Unicef”, riassume la manager. “Dopo il diploma sono entrata nel mondo della consulenza aziendale con Deloitte ma ho continuato a cercare possibili esperienze sul campo con organismi internazionali, finché mi hanno chiamato dall’Onu per un ruolo di Volunteer in Niger. In sostanza, lavoravo con una posizione assimilabile a quella di un funzionario, dunque del tutto integrata e inserita nell’organizzazione, ma con lo status di volontario sul campo. Inizialmente mi ero chiesta se il fatto di essere donna potesse costituire un elemento di disagio in quel contesto, ma non è stato così. Paradossalmente il tema di genere l’ho sentito maggiormente negli anni successivi, durante la fase della vita in cui si comincia a costruire una famiglia e ad avere dei figli, vedendo molte amiche fare un passo indietro per lasciare spazio a uomini con minor talento o capacità”. Al biennio in Niger è seguito un anno in Uganda che si è interrotto, appunto, con la decisione di tornare nell’azienda di famiglia. “Passare da Kampala ai vigneti del Trentino è stato un cambiamento forte, ma accompagnato da un grande entusiasmo legato al momento di passaggio generazionale che stava coinvolgendo l’azienda. Erano già entrati in società i miei due cugini, Matteo e Marcello, e da lì a poco ci avrebbe raggiunto anche mio fratello Alessandro”.
Camilla è stata così la prima donna in azienda a ricoprire un ruolo dirigenziale in oltre un secolo di storia. “Non è un record di cui vado particolarmente fiera: in parte è conseguenza di un banale fatto anagrafico, ovvero che il nonno ha avuto cinque figli di cui solo una femmina. Mi sarebbe piaciuto che ci potesse essere prima di me un'altra donna di famiglia in posizioni manageriali. Conciliare la sfera privata e quella professionale è un pensiero chiave nella mente delle donne, ma credo che il problema dovrebbero porselo con la stessa urgenza anche gli uomini. Che sia cioè una domanda pungente anche per chi decide di essere padre, altrimenti non si cambierà mai. Io credo di essere riuscita a gestire tutto perché con mio marito (anche lui bocconiano, ci siamo conosciuti proprio in università) la distribuzione dei compiti non è paritaria nella misura in cui lui si accolla più del 50% delle incombenze familiari o domestiche. È stata una scelta condivisa, naturalmente, che in certi momenti mi ha consentito di poter viaggiare molto per seguire gli impegni professionali. Mi rendo conto sia un’eccezione per ora ma sono ottimista per le prossime generazioni perché, seppur lentamente, le diverse forme di gender gap si stanno riducendo progressivamente. Non si potrà continuare a lungo a ignorare che le ragazze hanno tutte le competenze necessarie per occupare ogni ruolo in società. Da parte nostra occorre essere pronte a fare sacrifici, consapevoli che tenere insieme tutto costa una gran fatica. E poi ci aspetta un compito fondamentale: educare i figli, maschi e femmine, a considerare normale tutto questo”.