Dalle parte dei diritti
“La politica non è mai un mestiere, è una passione. Alle più giovani dico anche che è una carriera fragile. In certi periodi vivi sulla cresta dell’onda, poi cadi e devi rialzarti.” Emma Bonino riassume così, in modo schietto e conciso, l’impegno che per quasi cinquant’anni l’ha vista tra i protagonisti della scena politica italiana. Una vita tra Parlamento e istituzioni che mai avrebbe immaginato, lei cresciuta nella cascina di famiglia a Bra, in Piemonte.
Mestiere o meno, Bonino è stata capace di costruire un percorso politico che l’ha portata a essere, tra lotte per i diritti civili e disobbedienza civile, una delle figure di spicco del radicalismo liberale. È stata vicepresidente del Senato, dal 2006 al 2008 ministra per il Commercio internazionale del governo Prodi oltre che ministra degli Esteri nel governo Letta. Oggi guida +Europa, partito europeista e liberale. E lo fa sempre con quella determinazione “e cocciutaggine” che negli anni sono diventate il suo marchio di fabbrica.
“Se eri donna e volevi andare all’università già eri controcorrente. Le donne andavano alle magistrali o a far ragioneria. Io ho scelto Lingue e letterature straniere in Bocconi da incosciente: era l’unica facoltà che non c’era a Torino, fare la pendolare Milano-Bra non era possibile e quindi mi sarei dovuta trasferire.” L’arrivo a Milano “per una ragazza di provincia” è un sogno che si realizza. “Tutto era nuovo, tutto era una scoperta. Ero al collegio Bocconi, dove eravamo strettamente divisi: maschi da una parte e femmine dall’altra. Un incentivo alla trasgressione” sorride. Dovendo scegliere oggi una facoltà però spiega che studierebbe materie scientifiche. “Conoscere le lingue mi è stato certamente utile ma oggi è bene specializzarsi nelle STEM, i modelli ci sono: penso a Samantha Cristoforetti e prima di lei alla senatrice Elena Cattaneo.” Bonino descrive gli anni da studentessa, dal 1967 al 1972, come semplici e felici. “Quando ce lo potevamo permettere andavamo al Derby la sera. Lì è nato l’amore per Gaber, Jannacci, Cochi e Renato” aggiunge.
L’amore per la politica nasce invece poco dopo. Spiega: “L’avvicinamento al mondo politico è stato spontaneo, è venuto naturale quando ho incontrato i radicali nel 1974”. Racconta: “Sono diventata femminista dopo, quando ho capito e studiato la condizione della donna nella nostra società e mi sono confrontata con le colleghe radicali”. Che avevano fondato il Movimento per la Liberazione della Donna. A portarla verso la riflessione femminista è anche la sua storia personale. Dell’aborto, deciso a 27 anni tra mille difficoltà e con il rischio di dover pagare per una procedura illegale, Bonino parla in questi termini: “Fu un’esperienza non certo brillante ma da quell’episodio di vita è nata la mia ossessione per contrastare l’aborto clandestino. Volevo fare tutto quello che potevo per arrivare alla legalizzazione”. Il resto è storia: fonda nel 1975 il CISA (Centro Informazione, Sterilizzazione e Aborto) e rischia di essere arrestata per l’aiuto offerto alle donne. Poi il 22 maggio 1978 viene approvata in Italia la legge sull’aborto.
Alla domanda “Perché poche donne in politica?”, Bonino risponde in modo diretto: “Le donne si tirano indietro. Vuoi per la fatica di un ambiente ostile vuoi per i mancati riconoscimenti o le difficoltà familiari. In troppe aspettano una cooptazione che puntualmente non arriva. Fare ‘la segretaria di’ o ‘l’assistente di’ in un partito sperando di essere premiate non funziona”. Lo spazio, l’esortazione è tra le righe, bisogna prenderselo.
Le femministe di oggi Bonino le vede, dice, con grande simpatia: “Il mondo è cambiato dai miei tempi, se penso alla mia infanzia contadina pare un’altra Italia. Sui diritti abbiamo conquistato traguardi importanti ma ora si tratta di difenderli. Mai illudersi che saranno lì per sempre. Vanno curati e difesi”. Sempre.