Chi sono i nuovi poveri
Povertà. Un concetto difficile da quantificare e da cogliere in tutte le sue sfaccettature, ma che, quando si parla di globalizzazione, è tornato prepotentemente alla ribalta. Perché il villaggio globale ha messo alle strette i vecchi sistemi di protezione sociale e perché oggi si può essere poveri anche lavorando in due in famiglia, come ha messo in evidenza il convegno sulle "Nuove povertà" che si è tenuto alla Casa della Carità di Don Virginio Colmegna per "Economia e società aperta".
Con 2,6 milioni di persone sotto la soglia di povertà, secondo l'Istat (soglia che è di 936 euro mensili per due persone), l'Italia sta fronteggiando un aumento del fenomeno. "Circa 2,5 milioni di famiglie hanno un mutuo a carico", spiega Don Colmegna, "per un esborso medio annuo di 5.500, pari al 14% della propria spesa. Nel complesso il 74% delle famiglie dichiara di avere meno risorse di quanto considerato necessario e il 36% ritiene di rischiare lo stato di povertà".
Ma la povertà è un concetto sfuggente ed è difficile cogliere le caratteristiche dei nuovi poveri. E si scopre che sono radicalmente cambiati: "Rispetto al passato", continua Maurizio Franzini dell'Università La Sapienza, "comincia a delinearsi la figura del povero istruito. Guardando ai dati, si scopre inoltre che l'Italia ha un tasso di minori a rischio povertà che è superiore alla media europea a 27. È in aumento il numero di poveri con titolo di studio secondario o terziario, così come la possibilità di diventarlo per un laureato a tre anni dalla laurea". Una parte significativa delle famiglie al di sotto della soglia di povertà, "lavora e lavora pure in doppio". Tra l'altro, "la differenza media tra i guadagni dei parasubordinati e quelli del 10% più povero della popolazione è di circa 3.600 euro l'anno". Può essere facile, dunque, passare la linea anche se non si è disoccupati.
Sul lavoro, è chiaro Stefano Liebman, ordinario di diritto del lavoro in Bocconi: "Le garanzie e le assicurazioni che la disciplina del contratto di lavoro collettivo ha fornito in passato sono ridotte all'osso. Oggi in nome della globalizzazione si chiede di deregolamentare il mercato del lavoro: uno degli effetti discutibili di questa deregolamentazione è la creazione nel mercato di un nucleo di lavoratori stabile e una serie di cerchi concentrici di precari di vario genere". "Si può lavorare anche in contesti strutturati e sicuri ed essere poveri", aggiunge Susanna Camusso della Cgil Lombardia, la quale sottolinea anche come all'equazione vadano aggiunti anche il trinomio "donne-bambini-solitudine e la drammatica situazione della 'clandestinità regolare', ovvero la situazione di tanti immigrati che, pur lavorando stabilmente, non riescono a tradurre tale stabilità in un permesso di soggiorno". D'accordo con Franzini, anche la Camusso sottolinea la necessità "di politiche per la casa e di redistribuzione del reddito" e aggiunge l'opportunità "di ammortizzatori sociali che ridefiniscano la tutela di fronte alla discontinuità del lavoro parasubordinato".
E se le vedute convergono sulle politiche di intervento sociale, sono invece contrastanti circa il ruolo della crescita economica e la redistribuzione. Per Franzini "non basta confidare nell'effetto trainante della crescita, ma questa deve essere almeno accompagnata dalla redistribuzione", mentre per Luca Paolazzi, direttore del centro studi di Confindustria, l'obiettivo della crescita economica è un fattore decisivo. "Se in questi anni fossimo cresciuti come i paesi ricchi europei, oggi avremmo 220 miliardi di euro in più da investire in politiche sociali e per la casa".