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Chi sale e chi scende nella geografia del lavoro

, di Luisa Gagliardi - assistant professor presso il Dipartimento di management tecnologia
Le strategie di delocalizzazione hanno un bilancio positivo, o comunque non negativo, per il paese di origine. L'iniquita' e' infatti un fenomeno che impatta solo in quelle aree geografiche caratterizzate da strutture industriali mature facendo perdere posti di lavoro a basso valore aggiunto. A guadagnarci sono invece le aree produttive innovative che vedono salire il numero di lavoratori non routinari

Le scelte strategiche di impresa in merito alla localizzazione delle attività produttive modificano visibilmente la geografia del lavoro. Il tema è tanto attuale quanto controverso: nell'opinione pubblica delle principali economie industrializzate è da tempo diffusa la percezione che le strategie di delocalizzazione produttiva e investimento estero delle imprese multinazionali abbiano contribuito alla riduzione dei posti di lavoro, soprattutto di tipo non specializzato e a carattere routinario. La ricerca accademica sul tema tende a non supportare questa visione. Studi recenti enfatizzano come la progressiva frammentazione geografica e funzionale della produzione, che ha portato le imprese a rilocalizzare le funzioni a basso valore aggiunto mantenendo nei paesi di origine quelle a più alto contenuto di conoscenza, abbia permesso di ottimizzare i processi produttivi, con il conseguente aumento degli investimenti e la creazione di nuovi posti di lavoro nei paesi di origine. A consuntivo il bilancio aggregato è quindi positivo, o al più non negativo, anche qualora si tenga in considerazione l'eterogeneità dell'effetto a livello individuale, tra lavoratori che svolgono mansioni di natura diversa.

Lo studio condotto dall'equipe di ricerca che coinvolge Luisa Gagliardi (Università Bocconi), Simona Iammarino e Andrès Rodriguez-Pose (London School of Economics) si pone l'obiettivo di analizzare le ragioni sottese al disallineamento tra la percezione pubblica e le risultanze della ricerca accademica sugli effetti delle strategie di delocalizzazione produttiva e investimento estero delle imprese multinazionali sul mercato del lavoro dei paesi di origine. Utilizzando dati sul numero di posti di lavoro creati/distrutti, catalogati in funzione del contenuto di conoscenza delle mansioni ad essi connessi, e sull'ammontare degli investimenti esteri in uscita per micro-area geografica e settore di riferimento in Gran Bretagna, gli autori pongono l'attenzione sulla dimensione geografica del processo decisionale d'impresa vis-à-vis quella degli effetti sul mercato del lavoro al fine di riconciliare il dibattito pubblico e accademico sull'argomento.

Le conseguenze delle scelte di delocalizzazione e investimento estero da parte delle imprese multinazionali vengono infatti avvertite in maniera preponderante a livello locale. Questo perché ogni mercato locale del lavoro, pur all'interno del medesimo contesto nazionale, si caratterizza per una specializzazione settoriale e funzionale specifica. Di conseguenza le aree in cui posti di lavoro vengono persi a seguito dei processi di delocalizzazione produttiva difficilmente coincidono con quelle in cui nuove opportunità emergono a valle della riorganizzazione geografica della produzione e relativi ritorni di produttività. Dunque, seppur l'effetto aggregato a livello di sistema paese può risultare positivo, o comunque non negativo, nel medio/lungo periodo la distribuzione geografica dei costi e benefici associati a tali processi rimane fortemente iniqua.

Lo studio mostra come gli effetti negativi legati alle strategie di delocalizzazione e investimento estero delle imprese multinazionali nei paesi di origine si concentrino in aree geografiche caratterizzate da strutture industriali mature e colpiscano soprattutto lavoratori che svolgono compiti di natura routinaria e a basso valore aggiunto. Al contrario, i benefici in termini di maggiori investimenti e nuovi posti di lavoro coinvolgono soprattutto aree caratterizzate da sistemi produttivi innovativi e, in questi contesti, categorie di lavoratori ad alto valore aggiunto che svolgono mansioni di natura non routinaria o cognitiva.

Tale evidenza impone una riflessione profonda sulle conseguenze sociali delle decisioni strategiche di impresa e sulla distribuzione dei costi ad esse connessi a livello individuale e geografico.