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Chi bara al gioco dell'opa

, di Chiara Mosca - assistant professor presso il Dipartimento di studi giuridici
Una lunga lotta contro gli istinti protezionisti degli stati europei

La forza con cui alcuni stati dell'Unione europea, in passato, si sono opposti all'approvazione della direttiva opa (giunta infine nel 2004) è direttamente proporzionale alla sensibilità dell'argomento. L'obiettivo dei numerosi progetti di direttiva, ossia la costruzione di un mercato del controllo societario di dimensione europea, si è scontrato con gli istinti protezionisti degli stati membri.

Oggetto dei più vivaci scontri è stata l'introduzione di norme volte a bandire qualsiasi comportamento difensivo degli amministratori (passivity rule) ovvero ad annientare, o neutralizzare, le strategie difensive di varia natura (breakthrough rule). Evitare comportamenti difensivi corrisponde, nei fatti, a facilitare la strada del successo allo scalatore (anche straniero) nel tentativo di acquistare il controllo di una società target.

Perciò, non a caso, il testo della direttiva finalmente approvato (e recepito dalla maggior parte degli stati membri) contiene una versione edulcorata di queste norme. O meglio, la direttiva sancisce la passivity e la breakthrough rule, ma prevede per entrambe un meccanismo di recepimento opzionale, ovvero l'alternativa per gli stati membri tra adottare e non adottare. Condizione essenziale per gli stati meno virtuosi che scelgono di non recepire le norme anti-difesa dalle scalate è di consentirne, almeno, l'adozione volontaria negli statuti delle società quotate. La direttiva è stata fortemente criticata, considerata al più un risultato politico, idoneo solo a scongiurare il rischio di non giungere affatto all'approvazione di un testo legislativo europeo.Innegabilmente, la scelta di introdurre due norme assai rigorose (passivity e breakthrough) ma di non imporne l'adozione costituisce una scelta di compromesso. Tuttavia, questo compromesso nasconde un meccanismo di incentivi che potrebbe effettivamente condurre, seppur in via volontaria, all'adozione della scelta ottimale dal punto di vista del mercato del controllo societario, ossia di un ambiente nel quale le difese dalle scalate siano, nei fatti, bandite. Non va dimenticato, infatti, che lo sviluppo del mercato del controllo dovrebbe costituire un obiettivo di interesse anche per i sistemi economici locali, in virtù dei benefici per le imprese in termini di maggior competizione, efficiente gestione e allocazione delle risorse. Il discorso non è diverso dalla prospettiva delle singole imprese: sottoporsi spontaneamente ai meccanismi del mercato del controllo societario può portare benefici in termini di costi più bassi per la raccolta del capitale.In un mondo ideale le scelte di adozione (degli stati o delle società) dovrebbero nettamente prevalere, andando a prefigurare un quadro europeo nel quale, secondo i migliori auspici, l'adozione di misure difensive preventive o successive risulti effettivamente bandita. Se è ancora presto per effettuare una valutazione di questa natura, va detto che lo scenario della finanzia internazionale degli ultimi mesi non sembra aver spianato la strada a scelte lungimiranti da parte degli stati membri. Ne è esempio l'altalena di posizioni che ha caratterizzato il quadro della disciplina opa del nostro paese. L'Italia aveva adottato un approccio virtuoso: il testo unico del 1998 aveva introdotto sia la passivity rule, sia una forma parziale della regola di neutralizzazione poi adottata in Europa. La scelta era stata confermata nel 2007, col recepimento della direttiva. Da allora il quadro è cambiato due volte: sotto le pressioni della crisi (e del rischio che il ribasso delle quotazioni dei titoli rendesse le società nazionali prede di scalate), il decreto anti-crisi del 2008 aveva liberato soci e amministratori dal divieto di difendere la società in caso di takeover. Nel 2009 l'Italia è tornata sui suoi passi: ha scelto l'adozione (in vigore però dal luglio 2010) e questa volta sono le società che, convocando gli azionisti in assemblea, potranno chiedere di introdurre negli statuti una clausola di esenzione dall'applicazione delle regole europee.