Che maledizione queste risorse naturali
Tre miliardi e mezzo di persone vivono in paesi dotati di petrolio, gas e minerali. Fino all'inizio degli anni Novanta si sarebbe detto che questi paesi avessero ricevuto una benedizione: come per gli Stati Uniti o l'australiano, le risorse naturali avrebbero consentito una veloce transizione all'industrializzazione e, magari, l'uscita dalla povertà.
Gli ultimi vent'anni hanno visto una drastica inversione di tendenza: quella che era benedizione è adesso definita "maledizione delle risorse naturali". Molti autori, tra cui Jeffrey Sachs, hanno mostrato che in media tra il 1960 e il 1990 i paesi ricchi di risorse naturali hanno avuto tassi di crescita inferiori a quelli degli altri paesi.
Certo, guardare solamente ai tassi di crescita non spiega quale sia la differenza tra paesi come il Botswana e la Sierra Leone, entrambi dotati di risorse minerarie, ma con destini economici diametralmente opposti. La chiave interpretativa di queste differenze è ormai sempre più ricondotta alla qualità delle istituzioni.
I paesi dotati di abbondanti risorse minerarie, spesso definiti "petro-states", tendono a sviluppare caratteristiche istituzionali simili, legate ai processi produttivi delle materie in questione. L'estrazione di minerali è un processo intensivo in capitale, e i paesi poveri tipicamente non hanno la tecnologia e i capitali necessari per sfruttare su ampia scala queste risorse. Vi è dunque una presenza di imprese straniere che ottengono concessioni dai governi locali, e ciò lascia spazio a comportamenti di tipo rent seeking da parte delle élite locali.
Inoltre, a differenza di forme di crescita economica legate al manifatturiero o ai servizi, lo sviluppo dell'industria mineraria ha una ricaduta contenuta sul resto dell'economia e la ricchezza generata non è quasi mai redistribuita alla popolazione in quanto manca trasparenza sui proventi derivanti dalle concessioni. Famoso, in questo senso, è il caso dell'Angola. Global Witness, organizzazione specializzata in campagne d'informazione sul legame tra corruzione, sfruttamento delle risorse e conflitto, ha pubblicato numerosi rapporti su questo paese (tra cui A crude awakening, 1999, e All the presidents men, 2002). La tesi è che i governi occidentali, le compagnie petrolifere e gli investitori stranieri contribuiscano a creare le condizioni perché governi corrotti in paesi ricchi di risorse naturali le sfruttino a beneficio di una ristretta élite e non della popolazione. Secondo i dati forniti, nel solo 2001 un terzo degli introiti derivanti dalla vendita di petrolio (circa 1,5 miliardi di dollari) scomparve dal gettito dello stato angolano.
Poiché tradizionalmente né i governi né le compagnie rendevano pubbliche le cifre ricevute (o pagate) per le concessioni, gli strumenti per sanzionare comportamenti predatori da parte delle élite locali erano inesistenti o molto limitati. Compagnie che unilateralmente avessero deciso di pubblicare tali pagamenti, come fece Bp in Angola nel 2001, avrebbero pagato le conseguenze di quel gesto vedendo diminuire le concessioni da parte dei governi.
È per questo motivo che un'azione concertata che coinvolgesse il maggior numero possibile di compagnie minerarie, ma anche di finanziatori e di governi, era necessaria. Questa azione è stata portata avanti, a partire dal 2002, da due gruppi: da un lato la coalizione "Publish what you pay" (www.publishwhatyoupay.org), lanciata da George Soros e a cui aderiscono numerose Ong di tutto il mondo; dall'altro, la Extractive Industry Transparency Initiative (https://eitransparency.org), un'iniziativa lanciata da Tony Blair e che oggi raccoglie numerosi governi, compagnie del settore estrattivo e Ong.
Entrambi i gruppi sostengono che aumentare la trasparenza nella gestione delle ricchezze minerarie sia non solo doveroso nei confronti delle popolazioni, che subiscono spesso guerre civili proprio a causa di tali risorse, ma anche vantaggioso per il business.
In un mondo in cui il peso della "corporate social responsibility" diventa sempre più marcato, l'adesione a regole di trasparenza contribuisce a legittimare l'operato di queste compagnie mostrando che danno un contributo positivo alla società nei paesi in cui operano. Se la trasparenza poi sia sufficiente a rendere i governi locali accountable delle loro azioni nei confronti dei cittadini non lo sappiamo, ma è sicuramente una condizione necessaria.