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Charles Baudelaire, poeta latino

, di Giovanni Iudica - ordinario di diritto civile e direttore della Scuola di giurisprudenza della Bocconi
Uno dei suoi primi lavori il poeta maledetto lo scrisse nella lingua di Cicerone

Baudelaire, il poeta maudit, il sommo dei poeti maledetti, sapeva viaggiare nei giardini lussureggianti della terra e in quelli dei paradisi artificiali, lasciandosi trasportare dal caso o dal vento come un Albatro, l'infelice uccello che diede il titolo alla celebre poesia del suo capolavoro Fleurs du mal. Amava girovagare per la sua adorata Parigi, scrivendo sui tavolini dei bistrot, nei salotti degli amici, nei bordelli, e forse anche, come Valmont nelle Liaisons dangereuses, sulla schiena delle prostitute. La città stava cambiando: la vecchia Parigi era stata una camera illuminata dalla luce sensuale delle candele, la nuova città era un teatro impazzito, con i suoi lampioni a gas e le nuove prospettive create dagli architetti di Napoléon III. Il poeta portava con sé la tristezza di un cuore che si era spezzato sin dall'adolescenza.

Baudelaire aveva pochi amici che ammirava e da cui era compreso e stimato: Hugo, Lamartine, de Musset, Sainte-Beuve, de Vigny. Ma soprattutto frequentava il fotografo Nadar, l'unico ad avere l'onore del "tu". Con Nadar aveva tante cose in comune: la raffinatezza, la creatività, il gusto della provocazione, la conversazione appassionata e versatile, l'estetismo, il culto per la figura del dandy, e, sovente, il portafoglio al verde. Avevano in comune pure la stessa amante, Jeanne Duval, una mulatta di una bellezza feroce, "insieme divina e bestiale". Baudelaire si era ritrovato nel salotto sontuoso della letteratura entrandovi dalla finestra del latino. Fin da ragazzo, al liceo, era stato folgorato dalla semplicità, dall'eleganza di quella lingua. Il latino era la sua arma segreta. Il giovane poeta scrisse in latino uno dei suoi primi gioielli, una sorta di noir alla Edgar Allan Poe. Giulio Cesare era adorato dal popolo romano, ma aveva, specialmente tra i senatori, diversi nemici. Una sera, con un gesto di grande benevolenza, molto apprezzato, li invitò tutti a un banchetto a casa sua. Il raffinato piacere dei commensali venne accresciuto dall'ingresso di giovani ballerine, che danzarono al suono melodioso di una cetra, levandosi i veli uno a uno, per poi concludere la serata ai piedi degli illustri ospiti. Poi, mentre la cetra continuava ad avvolgere di armonie i senatori, cominciarono a scendere dagli interstizi del soffitto alcuni petali di rosa. Magnifico! Il piacere dei sensi unito al godimento della musica e al profumo delle rose. Un'idea straordinaria: "Evviva Cesare! Beviamo alla sua salute!" Cesare, intanto, si era allontanato, mentre dal soffitto continuavano a scendere petali di rosa. Il mosaico del pavimento era ormai coperto da un tappeto di rose. I petali continuavano a scendere sui tavoli, sui triclini, sui cibi, sulle coppie sudate e stordite dal vino. I petali non cessavano di cadere. Qualcuno cominciò ad inquietarsi. "Dov'è Cesare?" "Cesare non c'è, era qui poco fa, ma ora è sparito!". Qualcuno cercò, facendosi largo tra le rose che continuavano a cadere, di raggiungere una porta per fuggire. Tutte le porte erano state chiuse e i petali continuavano a cadere, senza sosta, inesorabilmente, sino a raggiungere il soffitto, elargendo a tutti i presenti la fragranza eccitante del profumo insieme alla condanna spietata della morte. Già allora in Baudelaire germogliava l'idea che ogni cosa contiene il suo contrario e che persino nella bellezza di un fiore potesse annidarsi il male, che persino i fiori potessero essere o diventare Fleurs du mal.