Contatti

C'era una volta il fotogiornalismo

, di Marina Nicoli - assegnista di ricerca presso il Dipartimento di analisi delle politiche e management pubblico della Bocconi
Chi ci mostrerà ancora le bambine colpite dal napalm e i carrarmati di piazza Tienanmen

Quando parliamo di fotogiornalismo, non sfuggono al nostro ricordo le immagini che hanno contribuito alla formazione della nostra memoria storica visiva: la bimba colpita dal napalm in Vietnam, lo studente di piazza Tienanmen fermo davanti ai carri armati, i superstiti dell'attentato dell'11 settembre ricoperti da una coltre di polvere.

Viviamo in un'epoca satura d'immagini, con un mercato in continua espansione (si stima che nel 2013 il mercato della fotografia digitale si aggirerà su 213 miliardi di dollari) eppure paradossalmente le fotografie sembrano diventate un semplice rumore di fondo. Su quotidiani e riviste il linguaggio fotografico è stato confinato a semplice segno grafico, illustrazione o riempitivo. Sempre più di rado l'editore si assume il rischio di investire nella produzione di nuovi reportage fotografici, dal momento che il web offre la possibilità di accedere ad enormi database di immagini a costi quasi irrisori. Come emerge dalla ricerca The Commoditization of Images: The Changing Landscape of Photojournalism, la chiusura negli ultimi anni di alcune tra le più importanti agenzie (Gamma, Sygma, acquisita da Corbis, L'Oeil Public, Grazia Neri), la caduta dei prezzi delle fotografie pubblicate su quotidiani e settimanali (da 110 a 15-20 euro per foto), la concorrenza di un numero sempre maggiore di fotografi amatoriali, la diffusione di siti di stock e l'offerta royalty free (fondata sulla possibilità di utilizzare un'immagine per un numero infinito di usi pagando poche decine di euro) ha portato gli addetti al settore a cantare il "de profundis" rispetto alla professione del fotogiornalista, denunciando una progressiva perdita di qualità nell'informazione visiva proposta ai lettori. Lo stato di crisi del mercato della fotografia d'informazione è generalizzato a livello internazionale ed è il risultato di cambiamenti registratisi dagli anni Novanta, quando lo standard tecnologico si è spostato al digitale. Se da una parte la tecnologia digitale ha aumentato la produzione d'immagini abbattendo tempi e costi di sviluppo, dall'altra internet ne ha favorito la velocità di circolazione. Contemporaneamente il mercato ha visto la nascita di nuovi tipi di intermediari online, quali Getty, Corbis e Jupiter, che hanno progressivamente acquisito il controllo del mercato offrendo immagini a prezzi concorrenziali e assorbendo alcune delle più importanti agenzie tradizionali. Nel corso del XX secolo le agenzie svolgevano un ruolo fondamentale non solo d'intermediazione tra i fotografi e gli editori, ma anche di garanti della qualità dei servizi fotogiornalistici. La crisi dell'editoria ha poi aggiunto un altro tassello alla storia: il calo dei lettori e il collasso delle fondamenta economiche della stampa (le inserzioni pubblicitarie), il crescente ruolo del giornalismo digitale come principale fonte di informazione, hanno contribuito a giustificare i tagli che le redazioni hanno operato sui fotografi di staff e sulla produzione di nuovi reportage. Le domande che scaturiscono da tali trasformazioni sono al centro del dibattito sul futuro del fotogiornalismo e più in generale dei media tradizionali: cosa sostituirà quanto si sta perdendo? I nuovi media dell'informazione garantiranno un'offerta di contenuti iconografici attendibili? Le agenzie fotografiche sono ancora validi intermediari o tale funzione può essere svolta dalle nuove tecnologie quali il web? Per sopravvivere le agenzie hanno provato ad adeguarsi, innescando una guerra di prezzi che ha determinato un sempre minor investimento nella produzione di nuovi contenuti fotografici. Dalle agenzie che hanno chiuso i battenti hanno iniziato a gemmare alcune alternative che potrebbero rappresentare il nuovo modello economico per il fotogiornalismo del XXI secolo. Tra queste, la nascita di collettivi fotografici, il crowdfunding (il finanziamento tramite micro donazioni), il finanziamento da parte del non profit. È il caso allora di domandarsi: il fotogiornalismo è morto?