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Caro Babbo Natale vorrei...

, di Carlo Filippini - professore emerito
più sensibilità per i paesi poveri

Scrivere una lettera a Babbo Natale è molto impegnativo: innanzitutto è utile ammettere le proprie mancanze con falsa ingenuità, sottolineare la serietà della propria situazione con sfumature drammatiche, elencare i doni che si vorrebbero ricevere con discernimento, precisione, noncuranza e da ultimo svalutare con accenni molto delicati le possibili richieste altrui. Allora ho cercato l'aiuto di collaboratori piccoli come me (di statura, ma con un decimo dei miei anni) per formulare, più che desideri o richieste, un sogno che si potrebbe fare nella notte di Natale: quali rapporti avere con le persone che vivono nei paesi in via di sviluppo?

Noi tutti (o quasi tutti) ci interessiamo alle sventure dei paesi più poveri e vorremmo porvi rimedio, spesso con grande passione e coinvolgimento; quando avvengono disastri naturali ci mobilitiamo rapidamente e con generosità. Peccato che a volte (alcune, molte?) diamo più peso ai nostri desideri che ai bisogni altrui; confondiamo le nostre preferenze, magari dettate da mode, con le domande dei nostri "beneficati". Alcune nazioni, alcune malattie, alcune cause suscitano molta commozione e sostanziali contributi (in euro, ma anche dollari o yuan sono accettati); altre invece non fanno notizia, non ci coinvolgono. Sarebbe bello che le nostre decisioni fossero più consapevoli, profonde, fondate sulle reali necessità delle persone. Sarebbe bello che conoscessimo di più i valori, le tradizioni, i modi di vivere degli altri. Sarebbe bello che il nostro interesse si traducesse non solo in denaro (insuperabile modo per annullare anche i sensi di colpa) ma anche in qualche gesto concreto di collaborazione e vicinanza. Sarebbe bello che ci attivassimo, ci organizzassimo per fare qualcosa insieme a "quei poverini che abitano laggiù (ma dove diavolo si trova il Butan? vicino al Liquistan?)". Sarebbe bello se ci rendessimo conto che possiamo fare molto senza dover delegare tutto ai governi, alle organizzazioni internazionali, a qualcun altro. I nostri politici e, più in generale, i decisori pubblici sono a volte preoccupati per il proprio successo, la propria rielezione e non sanno scegliere le politiche da attuare in modo efficace. Quello che potrebbe capitare tra cinque, dieci anni è al di là del loro orizzonte decisionale: "Ci penseremo allora (se saremo vivi, politicamente parlando!)". Purtroppo lo sviluppo economico richiede tempo: incidere sulle istituzioni, completare processi complessi non è cosa che si possa attuare in pochi anni. Sarebbe bello che le politiche, economiche ma non solo quelle, fossero concepite e realizzate con la dimensione temporale più appropriata. Sarebbe bello avere visioni grandi che si spingono nel futuro, magari anche oltre gli anni che ci restano. Sarebbe bello programmare un lungo cammino e allo stesso tempo ogni sua piccola parte. Cosa dire dei politici dei paesi in via di sviluppo? In parecchi casi il rapporto con i loro concittadini assomiglia troppo a quello tra padrone e servitore (di due secoli fa) o tra educatore onnisciente e alunno scapestrato. Vi è da un lato lo sfruttamento avido e brutale teso a consumare ricchezza in modo egoistico, dall'altro una visione astratta e velleitaria del nuovo individuo che deve essere realizzato ad ogni costo senza badare alle sofferenze (altrui). Sarebbe bello che gli interessi profondi delle comunità fossero chiariti, discussi e attuati insieme, coinvolgendo quante più persone possibile. Sarebbe bello che la tradizione, la saggezza esistente fosse valorizzata. Sarebbe bello che come fine dello sviluppo fossero poste le persone, non le classifiche. Gli accademici, i professori, i ricercatori ... ho trovato il regalo da chiedere: una biro che non si scarichi sul più bello!