Al centro degli ingranaggi della politica
Quanta influenza effettiva ha la ricerca di scienze politiche sulle grandi decisioni dei politici e di altri importanti attori pubblici? Nel corso degli ultimi decenni, la risposta più comune a questa domanda, da tutte le parti coinvolte, è forse stata «non molta». Da un lato, gli scienziati politici, che certamente vogliono che il loro lavoro abbia influenza nella sfera pubblica, vogliono anche che sia pubblicato nelle principali riviste scientifiche soggette a peer-review. E siccome la disciplina è una scienza matura e sempre più specializzata, gli incentivi alla pubblicazione suggeriscono di produrre studi sempre più rigorosi, con un ambito teorico ed empirico sempre più limitato. Un naturale, ma sfortunato, effetto collaterale di questa tendenza è stato il declino nell'interesse degli attori politici per la ricerca di scienze politiche d'avanguardia, non essendo in grado, o dimostrandosi riluttanti a considerare gli argomenti, i concetti e i risultati complessi della disciplina.
Consideriamo il caso, attualmente all'attenzione della Corte Suprema degli Stati Uniti, della manipolazione partigiana dei collegi elettorali, in cui, durante gli argomenti orali, il presidente della Corte, John C. Roberts, ha stridentemente respinto una misura utilizzata nella scienza politica per valutare come le mappe dei collegi elettorali favoriscano un partito rispetto a un altro (il partisan efficiency gap) come semplice «sociologichese».
Tuttavia, almeno due tendenze recenti suggeriscono che la scienza politica stia diventando (o almeno sia pronta a diventare) più importante per le decisioni prese dai responsabili politici. In primo luogo, le principali organizzazioni non governative e intergovernative, i cui suggerimenti e consigli sono spesso seguiti dai governi, fanno sempre più affidamento sulla ricerca di scienze politiche per orientare le loro raccomandazioni. Per esempio, la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, che negli ultimi anni ha rafforzato il suo impegno per ridurre la povertà nei paesi a basso e medio reddito, ha sottolineato nei suoi report che per raggiungere tale obiettivo occorrono riforme significative in settori economici e sociali chiave e che l'attuazione di tali riforme richiede la conoscenza del modo in cui le istituzioni politiche nazionali interagiscono con coalizioni nazionali concorrenti che hanno interesse a influire sulla politica. Così, nel formulare le sue raccomandazioni politiche, la Banca si è rivolta alla voluminosa letteratura scientifica in questo settore, in particolare agli studi sul disegno istituzionale, la politica distributiva e il dissenso dei cittadini. Allo stesso modo, gli studi della Banca mondiale e di altre istituzioni hanno citato ricerche di scienze politiche nei loro report sulla riduzione della corruzione nei regimi democratici e autoritari e sulla valutazione del fatto che gli aiuti esteri favoriscano effettivamente le nazioni in via di sviluppo o le danneggino, fornendo alle amministrazioni corrotte le risorse per sopravvivere.
Talvolta, i politici di alto livello hanno fatto affidamento diretto sulla ricerca di scienze politiche. Come sostenuto dal professor Marc Lynch in un contributo sul Washington Post nel 2016, per esempio, la politica del presidente Obama di non armare i ribelli siriani è stata, presumibilmente, influenzata dalla letteratura scientifica sulle guerre civili, che ha dimostrato che fornire sostegno esterno ai gruppi ribelli serve tipicamente solo ad allungare e intensificare i conflitti, soprattutto quando questi gruppi hanno obiettivi post-bellici notevolmente diversi. In occasione delle elezioni parlamentari canadesi del 2015, il leader del partito liberale Justin Trudeau ha promesso in campagna elettorale (ma non ha poi mantenuto) di cambiare le regole elettorali del suo paese da un sistema maggioritario a un sistema di voto alternativo istantaneo, in base al quale gli elettori classificano i candidati in ordine di preferenza decrescente. La sua proposta, volta a ridurre quella che egli percepisce come eccessiva polarizzazione nella politica canadese, faceva esplicitamente riferimento agli studi di scienze politiche che sostengono che i sistemi di voto con preferenze tendono a favorire la selezione dei candidati centristi, relativamente benvoluti da tutte le parti politiche.
Una seconda tendenza favorevole è che gli scienziati politici sono generalmente diventati molto più esperti nel comunicare le loro ricerche al grande pubblico. In particolare, l'ascesa dei social media e della blogosfera ha avuto un impatto profondo, permettendo e incoraggiando gli scienziati politici a presentare il loro lavoro in modo più accessibile. Inizialmente, tali sforzi erano molto decentrati e sporadici; oggi ci sono numerose sedi che ospitano regolarmente blog di scienziati politici su grandi eventi e temi del giorno. I primi esempi includono FiveThirtyEight (fondato nel 2008), un forum per scienziati politici che utilizzano sondaggi e analisi statistiche per fare previsioni sulle elezioni negli Stati Uniti e sui cambiamenti politici, e The Monkey Cage (fondato nel 2007), creato con l'esplicita missione di aiutare i politici e il pubblico a capire come la ricerca di scienze politiche possa rivelarsi utile per le loro decisioni e nei dibattiti. Il rapido successo e la popolarità di questi siti non sono passati inosservati ai grandi media: il New York Times ha creato una partnership con FiveThirtyEight nel 2010, e il Washington Post ha collaborato con The Monkey Cage nel 2013.
Anche se resta da vedere se tali sforzi di comunicazione da parte degli studiosi avranno un effetto diretto sulle decisioni politiche globali, è innegabilmente vero che gli scienziati politici hanno ora un'opportunità senza precedenti di modellare i contorni del dibattito pubblico. Ciò fa ben sperare non solo per la disciplina, nella sua continua ricerca di rilevanza, ma anche per tutti i cittadini che desiderano un dibattito informato e politiche pubbliche fondate su solide ricerche accademiche.
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