In Europa l'ostacolo non e' la cultura
I cittadini europei sono più simili fra loro di quel che credono. La disomogeneità culturale non è tale da mettere in pericolo il disegno d'integrazione politica. È uno dei risultati dello studio di Alberto Alesina, Guido Tabellini e Francesco Trebbi Is Europe an Optimal Political Area?, pubblicato sui Brookings Papers of Economic Activity. La letteratura insegna che l'integrazione fra paesi diversi prevede un trade-off tra il beneficio economico derivante dalla fusione e il costo in termini di eterogeneità delle preferenze. «Abbiamo provato a quantificare questo costo valutandone l'evoluzione nel tempo», spiega Tabellini.
Gli autori hanno analizzato dati delle European value surveys relative al periodo 1980-2008, confrontando i tratti culturali profondi e stabili dei paesi Ue: l'apprezzamento di lavoro e obbedienza, i ruoli di genere, la moralità sessuale, la religiosità, l'ideologia, il ruolo dello Stato nell'economia. «Abbiamo scoperto che l'eterogeneità culturale fra i paesi non è rilevante se si usa come termine di paragone l'eterogeneità che si registra all'interno dei singoli stati o quella osservata negli Stati Uniti. Il principale ostacolo a una maggiore integrazione politica europea potrebbe essere un altro. Noi ipotizziamo che sia l'abitudine a identificarsi con la propria nazione, che porta a esasperare differenze fra paesi che nella realtà sono meno rilevanti di quel che si crede».
I tratti culturali degli europei non sono perciò così dissimili. Vi sono più differenze nelle istituzioni. Gli autori hanno scoperto che, nonostante l'integrazione economica, non c'è stata in Europa una convergenza nel funzionamento della pubblica amministrazione e della giustizia. «Le istituzioni di tutti i paesi sono migliorate, ma quelle del nord lo hanno fatto in modo più marcato, allargando il gap con gli stati del sud».
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