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Dazi e guerre commerciali: strumento obsoleto o un’arma di potere?

, di Davide Ripamonti
Mentre il mondo globalizzato sembrava destinato a superare i confini economici, i dazi tornano a essere protagonisti delle guerre commerciali internazionali. Ma sono davvero efficaci per proteggere le economie nazionali? O rischiano di trasformarsi in armi spuntate, con effetti collaterali sui consumatori? Gianmarco Ottaviano svela le strategie nascoste dietro l’uso politico dei dazi e i loro effetti sull’economia globale

I dazi sono davvero uno strumento del passato o rappresentano ancora un’arma potente nell’arsenale economico delle nazioni? In un mondo globalizzato, dove merci e capitali attraversano i confini a velocità senza precedenti, l’idea di tassare gli scambi commerciali sembra anacronistica. Eppure, i dazi sono tornati al centro delle guerre commerciali moderne, scatenando tensioni tra potenze economiche come Stati Uniti, Cina ed Europa.

Dietro ogni dazio imposto si nasconde una strategia politica complessa: proteggere l’industria nazionale, riequilibrare deficit commerciali, o semplicemente rispondere a pressioni interne. Ma quanto sono realmente efficaci? E soprattutto, chi ne paga il prezzo finale?

Gianmarco Ottaviano, professore ordinario di Economia e Boroli Chair In European Studies presso il Dipartimento di Economia dell’Università Bocconi, ci guida in un viaggio tra storia e attualità, svelando i meccanismi economici e politici che regolano i dazi. Un’analisi che non si limita alla teoria economica, ma esplora le conseguenze sociali e politiche di uno strumento che continua a dividere il mondo.

 

I dazi sono solo uno strumento del passato o sono ancora utili?

Il controllo del passaggio delle merci attraverso i confini c’è sempre stato. Se ci guardiamo intorno, nella cerchia delle mura spagnole vediamo le varie porte, dove si trovavano appunto i caselli daziari. Chi veniva a Milano a vendere le proprie merci doveva pagare un dazio. Il dazio è uno strumento utile soprattutto per stati deboli dal punto di vista dell’organizzazione della raccolta delle tasse, perché è il modo più semplice per raccogliere gettito fiscale. È infatti molto impiegato nei paesi in via di sviluppo.

Nel 2021, però, in Africa molte nazioni hanno firmato un Trattato di libero commercio con l’intento di creare un mercato unico e risollevare l’economia. Funziona?

In realtà nel continente africano, se si osserva cosa succede a un camion che trasporta merci, quello che si paga attraversando un confine è solo uno dei molti dazi che vengono richiesti. C’è un rapporto della Banca Mondiale che evidenzia tutta un’altra serie di pagamenti imposti da polizia, gendarmeria e altre forze più o meno ufficiali.

C’è comunque stato un calo nel numero e nell’ammontare dei dazi a livello globale?

Certamente. A partire dalla fine della Seconda guerra mondiale e ancor più dagli anni ’70 del secolo scorso si è visto un progressivo calo dei dazi. Quindi, tornando alla domanda iniziale, i dazi ci sono e ci sono sempre stati, hanno costituito la regola più che l’eccezione, ma l’ammontare e la rilevanza di questi dazi sono drasticamente calati, ed è per questo che si parla di globalizzazione. Una globalizzazione guidata da scelte politiche e non solo da quelle commerciali.

Qual è il ruolo dell’Organizzazione mondiale del commercio? 

L’Omc, della quale fanno parte quasi 200 paesi, gestisce una situazione estremamente regolamentata, ed è ufficialmente un’istituzione di libero scambio, anche se in realtà alcuni accordi posti sotto la sua egida consentono dazi e altre forme di protezione. E l’Omc ha un apposito tribunale al quale rivolgersi per eventuali controversie. Però, per agganciarci all’attualità, se io sono il Presidente degli Stati Uniti posso emettere un ordine esecutivo e imporre un dazio istantaneamente. E qui si instaura un meccanismo che mi piace spiegare con una metafora: se io allo stadio mi alzo in piedi per vedere meglio, e quelli intorno a me si alzano tutti per vedere meglio a loro volta, alla fine vediamo in piedi come quando eravamo tutti seduti. Stiamo cioè peggio di prima. Analogamente, se un paese “subisce” un dazio e risponde imponendone uno a sua volta, la situazione si pareggia danneggiando entrambi i paesi coinvolti. 

Però alla fine i dazi un beneficio, se non a tutti, a qualcuno lo portano. 

È un discorso di realpolitik. Piuttosto che chiedersi se i dazi fanno bene a tutti gli americani (o a tutti gli europei, i cinesi ecc.), bisogna chiedersi di “chi” in particolare fanno gli interessi, perché sono appunto questi interessi che esercitano pressione e che prevalgono su altri. Un dazio sull’importazione di automobili fa bene al settore automobilistico perché riduce la concorrenza, ma un dazio sull’acciaio fa bene a chi lo produce, cioè gli Stati Uniti, ma fa meno bene allo stesso settore automobilistico che dovrà comprare questo acciaio americano pagandolo di più di quanto paga adesso quello cinese. I dazi hanno quindi un forte potere redistributivo.

Facendo però arrabbiare i consumatori, che possono trovarsi a essere i destinatari finali dei rincari.

I consumatori che comprano automobili possono chiedersi per quale motivo debbano essere tassati per sostenere un’industria, quella automobilistica americana per esempio, che dal loro punto di vista è meno competitiva. In sostanza la domanda che il cittadino si pone è: perché devo essere io a pagare? Quindi torniamo alla conclusione di prima, e cioè al tema dell’impatto redistributivo. 

I dazi sono anche uno strumento politico, quindi.

Sì. Se si introduce un dazio, i consumatori si trovano a dover pagare un prezzo più alto, ma a volte senza capire bene perché e da che cosa sia stato determinato questo aumento. Se, invece, si mette una tassa sui veicoli inquinanti, tutti capiscono perfettamente da dove arriva e quindi possono reagire. Il dazio è spesso un modo meno trasparente per ottenere risultati che, con metodi più trasparenti, sarebbero difficilmente raggiungibili. 

E, potenzialmente, sono anche uno strumento di “guerra”…

All’interno dell’Omc viviamo in un regime di pace commerciale, regolata attraverso dei trattati. Se qualcuno viola questi trattati, chi si sente danneggiato può rivolgersi al tribunale dell’Omc. È quanto avviene anche nella nostra vita di cittadini, se ci sentiamo danneggiati da qualcuno la reazione più corretta è quella di intraprendere le vie legali, non vendicarsi da sé, altrimenti violo la pace civile. Mettere un dazio a un paese perché ci si sente danneggiati dai suoi comportamenti commerciali è come spaccare il vetro di chi occupa indebitamente il nostro posto auto, per esempio. Il dazio è quindi uno strumento “di guerra” quando viene usato con finalità di aggressione e di coercizione. Molte delle misure adottate dai paesi occidentali nei confronti della Russia possono essere tradotte nella logica di restrizione del commercio.

Un mondo in cui i dazi smettano di esistere, però, è ancora lontano dall’essere possibile. Avverrà mai?

Per alcuni paesi, come accennato prima, sono l’unica fonte di reddito che permette loro di mantenere quel poco di apparato statale che hanno, una forza di polizia e un sistema giudiziario, per esempio. Ovviamente si tratta dei paesi in via di sviluppo. Ma non è il solo motivo. Ci sono situazioni per le quali il libero scambio non è la soluzione migliore. Pensiamo per esempio al tema della riduzione delle emissioni inquinanti, molto caro soprattutto ai paesi europei. Questo porta un aggravio di costi per le imprese, che poi magari si trovano a dover competere con imprese che risiedono altrove, dove non devono rispettare i requisiti ambientali, e poi vendono nel mercato europeo. A questo scopo l’Unione Europea ha istituito il Carbon Border Adjustment Mechanism che, semplificando, impone un dazio compensativo alle aziende importatrici di merci ad alta intensità di carbonio prodotte in paesi extraeuropei che nella loro produzione non rispettano gli standard europei sulle emissioni di CO. Questo dimostra che ci sono diverse situazioni in cui il libero mercato non rappresenta la soluzione migliore.

Che cosa dobbiamo realmente attenderci dal Presidente Trump su questo fronte?

Trump ha tante cose nel suo programma, alcune in contrasto tra loro. Uno dei suoi obiettivi è quello di proteggere l’industria manifatturiera americana, e questo rischia di colpire in particolare l’Italia, un altro quello di ridurre il disavanzo commerciale, sia quello assoluto, sia quello bilaterale nei confronti di vari paesi. Ovviamente tra questi paesi vi è la Cina, che è percepita come la grande rivale economica in ascesa, e verso la quale c’è preoccupazione anche in virtù della risposta che il paese asiatico ha saputo dare in occasione della prima guerra commerciale nel 2018 ma anche alle manovre protezionistiche di Biden negli anni scorsi. Anche il tentativo di impedire alla Cina di accedere alle tecnologie americane alla fine non ha dato gli esiti sperati. E poi c’è il discorso militare, dove la Cina è ancora indietro rispetto agli Stati Uniti ma ha i mezzi per colmare il divario. Tornando ai dazi, finora Trump la voce grossa l’ha fatta soprattutto verso Messico, Canada, Unione Europea, più che con la Cina. Anche i minacciati dazi al 60%, prima ventilati, poi in concreto sono stati del 10%. La realtà è che gli Stati Uniti hanno capito che mettere i dazi solo alla Cina non impedisce alle merci cinesi di arrivare sul loro territorio e vogliono quindi colpire eventuali triangolazioni attraverso i paesi cosiddetti “connettori”. Per quanto riguarda l’Europa, tema che ci tocca più da vicino, se saprà marciare unita raggiungerà una situazione simile alla Cina, con alcuni dazi che arrivano e altri no, ma comunque con effetti meno deleteri di quelli temuti. I vari paesi divisi invece avrebbero poco peso nei confronti del gigante americano.