Akil, l’Albania che cresce
"Per la generazione dei miei genitori l'Occidente era Sanremo, perché l'unica finestra sul resto del pianeta era la Rai, ma per noi è diverso. Decine di giovani albanesi, oggi, passano ogni anno le selezioni delle migliori università del mondo, viaggiano, si informano, si preparano a costruire un paese nuovo", dice Akil Kraja, 24 anni, alla Bocconi per frequentare il secondo anno del Double degree in economia e management delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni internazionali, o Double master in management of international and public affairs, come lo chiamano alla sua università di provenienza, SciencesPo di Parigi. E tra i giovani albanesi che si distinguono all'estero e si preparano a rinnovare il loro paese c'è certamente anche lui.
L'ultima estate l'ha passata nel Kosovo, come stagista presso il Gabinetto del vice primo ministro (terza foto), dove si è occupato dell'attività di lobbying in collaborazione con il ministero degli Affari esteri; quella precedente al Consiglio d'Europa di Strasburgo (seconda foto), dove ha seguito un progetto sulla democrazia locale, relazionando i suoi responsabili sulle best practice diffuse in tutta Europa. Nella primavera del 2006, nell'ambito delle attività di un'associazione fondata all'università con un amico serbo, ha guidato un gruppo di 34 studenti di SciencesPo in un viaggio alla conoscenza dei Balcani, nel corso del quale sono stati ricevuti dal primo ministro albanese e dal primo consigliere del presidente serbo.
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Akil si sta preparando con determinazione a incidere sulla vita politica, o almeno amministrativa, del suo paese. Anzi, ha cominciato a incidere quando aveva 10 anni. Figlio di una insegnante di francese, a Tirana frequentava una classe sperimentale bilingue e la sua presentazione di un lavoro di storia ha colpito un giornalista della Tvsh, la televisione nazionale, al punto che, nel giro di settimane, il bambino si è trovato a presentare una trasmissione per i suoi coetanei e, dopo i 16 anni, a fare il giornalista e conduttore di Troç (prima foto), una sorta di telegiornale, sponsorizzato dall'Unicef, realizzato dai giovani e diretto ai giovani, per il quale ha girato una cinquantina di servizi. A luglio del 2002, insieme a tre altri giovani reporter, produsse un documentario in Kosovo e Macedonia sulle conseguenze dei confliti del 1999 e 2001. Intanto che i giovani realizzavano la loro opera, una troupe americana girava un documentario su di loro, come testimonianza voluta dall'Unicef della maturità delle giovani generazioni albanesi.
"Ma il giornalismo non mi sembrava abbastanza per cambiare davvero le cose", dice Akil, che spiega così la sua scelta di affrontare studi politici in Francia. "D'altra parte", aggiunge, "la politica non è una professione", e quando si è trovato a decidere se andare in scambio presso un'università straniera o cercare uno stage, ha optato per questa seconda possibilità e ha pensato di consolidare la sua esperienza di documentarista passando otto mesi alla Ramp films di New York, la società che aveva realizzato il documentario sui giovani giornalisti albanesi quattro anni prima.
"Durante la settimana collaboravo a un documentario sul diritto di voto ai neri e altre minoranze in alcuni stati degli Usa", spiega Akil, "ma nel weekend potevo utilizzare l'attrezzatura e ho girato un secondo documentario sulla lobby e la diaspora albanese in America. È una comunità di mezzo milione di persone, ben organizzata e che gode di un'immagine positiva. Offre borse di studio, opportunità di lavoro, si fa sentire a ogni livello. Dopo aver venduto il documentario a una televisione digitale per 400 euro, giusto per coprire le spese, l'ho postato su Youtube, perché dovrebbe insegnare qualcosa alla diaspora albanese in Europa, che non è organizzata allo stesso modo".
E ora Akil è in Italia (quarta foto) perché è convinto che la doppia laurea, con due università di prestigio come SciencesPo e Bocconi, gli possa aprire qualsiasi porta professionale e "per conoscere più da vicino quello che è il nostro primo partner economico e il luogo di residenza di 400.000 emigrati". Un'Italia che ha un rapporto sempre più complesso con l'Albania. "Qui a Milano mi sono visto rifiutare un appartamento in affitto per il solo fatto di essere albanese", confessa Akil, "e mentre si deteriora l'immagine dell'Albania in Italia, lo stesso fa l'immagine dell'Italia in Albania. Oggi, quando si pensa all'Italia non si pensa più a Sanremo, ma neppure alle città cosmopolite come Milano, bensì a realtà più provinciali e chiuse, o a iniziative come quelle di un'impresa siciliana che dovrebbe aprire, nel Sud dell'Albania, il più grande parco eolico d'Europa, ma per esportare l'energia in Italia deturpando un territorio a forte potenzialità turistica. È chiaro che sorge qualche attrito".