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Unione europea, trent'anni dopo

, di Stefano Feltri
Il progetto di un'Europa unita e le regole fiscali, il Mercato unico, il ruolo del Consiglio dei capi di Stato e di governo, la questione ambientale, le ipotesi di allargamento dell'Ue: in occasione dell'anniversario dell'entrata in vigore del Trattato di Maastricht, Sylvie Goulard e Mario Monti tracciano un bilancio di queste tre decadi e riflettono sul futuro dell'Ue

In trent'anni alcune cose sono molto cambiate, altre sono rimaste le stesse: il primo novembre 1993 è entrato in vigore il trattato di Maastricht che aggiunge l'Unione europea, accanto alla Comunità, e mette le basi per l'euro.
Il paese che più si era impegnato sul mercato unico, la Gran Bretagna, è uscito dall'Ue. Quello che aveva le regole fiscali come priorità, la Germania, continua a dominare la discussione sul tema.
L'Italia, che con i Consigli europei di Milano del 1985 e di Roma del 1990 aveva dato impulso al processo che ha portato a Maastricht, è meno centrale nella discussione.
Per un bilancio di questi trent'anni e un ragionamento sui prossimi, non ci sono interlocutori migliori che Sylvie Goulard e Mario Monti.
Goulard, francese molto attiva nel dibattito pubblico anche in Italia e Germania, consigliere del presidente della commissione Prodi, europarlamentare e vicegovernatrice della Banca di Francia, si è trovata al centro di tutte le grandi discussioni innescate dal cambiamento di Maastricht: dall'assetto istituzionale dell'Ue all'allargamento fino alla grande sfida della risposta europea alla crisi climatica.
Monti, già presidente della Bocconi, presidente del Consiglio, e oggi senatore a vita, nel suo mandato da commissario europeo (1995-2004) ha dato concretezza e ambizione al mercato unico previsto dal trattato di Maastricht.
Nel 2012 Goulard e Monti hanno pubblicato il libro La democrazia in Europa : guardare lontano (Flammarion e Rizzoli).

Quando è entrato in vigore il trattato di Maastricht, trent'anni fa, che idea avevate del progetto europeo e quali aspettative?

Sylvie Goulard: Era una fase di grande speranza nel futuro dell'Unione, dopo l'unificazione della Germania e il ritorno alla democrazia dell'Europa dell'Est. Maastricht ha anche messo le basi della moneta unica, ma la ratifica del trattato ha anche segnalato per la prima volta una tensione nel dibattito pubblico e una certa difficoltà nel metodo: ogni passo avanti che da allora si fa nell'integrazione europea è permesso soltanto da accordi raggiunti in un equilibrio sub-ottimale, che impedisce di creare le condizioni necessarie perché le novità siano davvero efficaci.

Mario Monti: Io all'epoca vedevo nel trattato di Maastricht un tentativo dell'Europa di adeguarsi al cambiamento geopolitico maggiore del tempo, la caduta del muro di Berlino. Una tappa importante nel percorso che ha portato la Germania a rinunciare alla propria moneta, fonte di orgoglio e forza, in cambio dello sforzo del resto dell'Europa di diventare un po' più simile alla Germania.
Ho sempre pensato che i paesi membri beneficino del progetto europeo non soltanto perché si integrano, ma perché ne vengono trasformati. E dunque, da italiano, vedevo nel trattato di Maastricht una spinta per la trasformazione della nostra struttura economica e istituzionale nel senso dell'economia sociale di mercato, che io ho sempre auspicato ma della quale in Italia c'era poco e niente.

Il trattato di Maastricht è associato anche alle regole fiscali su debito pubblico e deficit. Cosa abbiamo imparato in questi trent'anni sul coordinamento a livello Ue delle finanze pubbliche nazionali?

Sylvie Goulard: Prima del percorso iniziato a Maastricht c'era una banca centrale che decideva una politica monetaria che poi condizionava tutte le altre economie europee: la Bundesbank tedesca.
Tutti, in particolare Francia e Italia, abbiamo accettato di trasferire a livello europeo un po' di sovranità per poter decidere insieme la politica monetaria: è in questo contesto che abbiamo accettato liberamente le soglie di debito e deficit previste dal trattato di Maastricht.

Mario Monti: Oggi il tipo di vincoli introdotti dal trattato di Maastricht e poi dal patto di stabilità possono sembrare grezzi.
All'epoca, però, lo scopo di questi vincoli non era convincere gli economisti che fossero i parametri che avrebbero determinato politiche ottimali, bensì persuadere le opinioni pubbliche di paesi a moneta forte - Germania e Olanda - che non avrebbero dovuto preoccuparsi circa il valore dei loro risparmi e delle loro pensioni dopo l'introduzione di una valuta europea unica.

Il mercato unico è stato il grande successo del trattato di Maastricht, il compimento della prima fase di integrazione europea e la premessa per le tappe successive. Oggi è a rischio?

Sylvie Goulard: Nel valutare lo stato di salute del mercato unico europeo dobbiamo sempre considerare anche quello che i tedeschi chiamano "Standort", cioè le condizioni dello sviluppo delle imprese, della loro competitività: tutelare il mercato unico come lo abbiamo conosciuto negli ultimi decenni non basta, perché il contesto di riferimento sta cambiando, tra crisi della governance multilaterale del commercio e nuove fragilità per le catene del valore globali. Di fronte all'urgenza di arginare la crisi climatica, poi, non possiamo più limitarci a promuovere il commercio, ma dobbiamo favorire un commercio giusto e sostenibile.

Mario Monti: Il mercato unico è una di quelle cose di cui si percepisce l'importanza solo quando inizia a venire meno. Quando nel 1994 la Norvegia ha votato contro l'ingresso nell'Ue ha però disperatamente cercato, riuscendoci, di stare nel mercato unico.
E oggi la Gran Bretagna farebbe carte false per avere il mercato unico senza appartenere all'Ue, ma la pretesa di non sottoporsi ai giudizi della Corte di giustizia europea è inaccettabile perché un mercato funzionante vive di regole e di istituzioni (la Commissione e la Corte di giustizia europea) che hanno il compito di farle rispettare.
Oggi, in paesi importanti come Francia e Germania, la politica arriva a dire che un mercato unico funzionante può essere un ostacolo alla piena sovranità europea perché limita gli spazi di reazione, per esempio agli aiuti offerti dall'Inflation Reduction Act degli Stati Uniti.
Ma se l'attuale espansione del ruolo del pubblico nell'economia avverrà a livello nazionale invece che comunitario, condurrà a una distorsione del mercato unico – che è il primo fattore di competitività per l'Europa – e frenerà il formarsi di una sovranità europea.

Già dieci anni fa, nel vostro libro, denunciavate che il Consiglio dei capi di Stato e di governo stava diventando un problema per l'Unione, con le sue decisioni a porte chiuse e inappellabili. Come si è evoluto il Consiglio dopo Maastricht?

Sylvie Goulard: Il Consiglio è andato molto al di là del suo mandato originario. L'idea del Consiglio si deve all'ex presidente francese Valéry Giscard d'Estaing. Jean Monnet l'aveva accettata in abbinamento all'elezione diretta del parlamento europeo, con l'ambizione di creare un'unione non soltanto di governi ma soprattutto di cittadini.
Per molto tempo il Consiglio non era neppure regolato dai trattati, era una sorta di gabinetto informale dei leader nazionali.
Solo con il trattato di Lisbona (2007) viene riconosciuto al Consiglio un ruolo di impulso al processo decisionale, ma non di legislazione. Tutti i membri del Consiglio rendono conto delle loro decisioni al livello nazionale, secondo la Costituzione di ogni paese, ma come organo europeo non sono sottoposti ad alcun controllo. Non decidono con trasparenza, fanno perfino 27 conferenze stampa separate.
Nel 2004 il Consiglio ha avviato un negoziato con la Turchia senza un dibattito pubblico e abbiamo visto come è andata.

Mario Monti: Il ruolo di propulsione del Consiglio europeo può essere importante, ma dopo la Grande crisi finanziaria nel 2009, vista la quasi assenza di un bilancio comunitario corposo, lo strumento per risolvere le crisi sono diventati i soldi, a carico essenzialmente dei governi nazionali, e col denaro è venuto il potere. Anche quando il Consiglio europeo ha poi affrontato questioni non strettamente economiche, ha conservato una certa presunzione di supremazia.
C'è quindi una stortura nel meccanismo comunitario, soprattutto ora che il concetto di interesse nazionale ha preso il sopravvento e i membri del Consiglio europeo a Bruxelles negoziano nell'interesse del proprio paese, e non in quello dell'Unione.
La dimensione intergovernativa dominante nel Consiglio europeo si trasmette poi alla Commissione e agli altri organi. Tutto il sistema si impregna – vorrei dire si infetta – di un reticolo disordinato di interessi nazionali.

La questione ambientale era ancora molto marginale al momento dell'entrata in vigore del trattato di Maastricht. Ora l'Ue ha il clima come priorità?

Sylvie Goulard: Il grande summit dell'ONU che ha fatto emergere il tema climatico è quello di Rio de Janeiro nel 1992. Nel trattato di Maastricht c'è qualche accenno, ma non un impegno coerente con quella che era la conoscenza disponibile sul problema già trent'anni fa. Uno sforzo convinto contro la crisi climatica allora sarebbe stato molto più efficace e meno costoso rispetto a quelli cui siamo costretti oggi che stiamo arrivando al limite delle risorse del pianeta.

Mario Monti: È vero che l'Ue nel 1992-1993 non ha fatto abbastanza, ma dopo i summit di Rio e poi di Kyoto la bandiera dell'ambiente è stata agitata quasi soltanto dall'Europa. Ed è stata l'Unione europea a persuadere gradualmente gli Stati Uniti che, con la presidenza Biden, sono diventati protagonisti della reazione alla crisi climatica.
Ma devo ricordare che, come commissario per il mercato unico, nel 1997 ho provato a presentare una proposta di direttiva sulla carbon tax che non ha trovato consenso neppure dentro la Commissione e non è mai arrivata al Parlamento. Certamente io ero un commissario esordiente, non così forte come quel tema avrebbe richiesto. O forse i tempi non erano maturi.

Si discute ora di un allargamento ad altri otto membri entro il 2030, tra questi l'Ucraina ancora in guerra. Una Ue più grande sarebbe anche più forte?

Sylvie Goulard: Portare aiuto e speranza a chi è sotto le bombe o minacciato è nobile e necessario, vale per l'Ucraina come per la Moldavia. Ma se vogliamo che l'Ue sia una comunità di cittadini e non di governi, allora questo processo va condiviso con le popolazioni e accompagnato da riforme serie. E questo non sta succedendo.
Il Consiglio europeo individua un imperativo geopolitico e tutti si devono adeguare. Però l'Ue non è un club informale, ha delle politiche, alcune richiedono fondi e un quadro di diritti controllato di una Corte comune.
Trovo molto strano che pensiamo di allargare ancora l'Ue - non si capisce se anche alla Turchia o no - senza sapere bene come avere una politica estera e di difesa comuni.

Mario Monti: Penso che sia importante tenere vicini all'Ue alcuni paesi come l'Ucraina che oggi non sono membri, per questo non mi dispiaceva l'idea di Comunità politica europea avanzata dal presidente francese Emmanuel Macron. Consentirebbe di offrire supporto senza prendere impegni che possano deformare la nostra Ue.
Gli unici allargamenti che sembravo avere un imperativo geopolitico sono però quelli verso Est: certo è molto importante quello che succede in Georgia, ma a pochi chilometri dal confine dell'Ue, in Libia per esempio, abbiamo presenza turca e russa che pone non meno problemi al progetto europeo di quanto avviene sul fronte orientale.
Nei decenni futuri, le questioni dell'immigrazione si decideranno più a Sud che a Est. Quindi anche io ho notevoli perplessità sui possibili nuovi allargamenti, se fossero a pieno titolo.