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Privacy del lavoratore: italiani primi in Europa

, di Elena Gramano - assistant professor presso il Dipartimento di studi giuridici
I datori di lavoro possono procedere a forme di controlli difensivi solo al fine di accertare immediatamente illeciti che potrebbero ledere o compromettere il patrimonio aziendale. Si tratta di un unicum rispetto alla disciplina degli altri paesi UE che pone l'Italia all'avanguardia in questa materia

I controlli così detti "difensivi" sono i controlli posti in essere dal datore di lavoro in modo occulto, e dunque non noto al lavoratore, con la finalità di accertare un illecito di cui il datore nutre un fondato sospetto.
Si tratta di un istituto di matrice tutta giurisprudenziale, che non trova traccia nella disciplina di legge e, in particolare, nell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970, riformato ad opera dell'art. 23, comma 1, d.lgs. n. 151/2015) che si occupa di regolare i controlli a distanza del datore di lavoro sui lavoratori.
Il dibattito giuslavoristico in materia di controlli difensivi nasce già a partire dagli anni '70 del secolo scorso a fronte della necessità, comprensibile e avvertita soprattutto dalla giurisprudenza di merito, di ritagliare uno spazio di manovra libero dai limiti di cui all'art. 4 dello Statuto dei lavoratori per il datore di lavoro, il quale si fosse trovato a dover verificare una sospetta condotta illecita posta in essere da un dipendente.
In particolare, la giurisprudenza aveva riconosciuto che la insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti non poteva giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e della riservatezza del lavoratore, e che, pertanto, i controlli difensivi erano legittimi solo se aventi ad oggetto condotte illecite dei dipendenti idonee a pregiudicare «beni estranei al rapporto di lavoro» (Corte di cassazione 23 febbraio 2012, n. 2722).

Più di recente, la riforma del 2015, che ha radicalmente modificato il testo dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ha riacceso il dibattito circa l'opportunità di continuare a ritagliare uno spazio di legittimità per i controlli a distanza operati al di fuori dell'articolo stesso: i controlli difensivi, appunto.
Il 22 settembre 2021 la Corte di cassazione si è pronunciata su questo tema per la prima volta dall'entrata in vigore della riforma dell'art. 4.
La Corte ha richiamato i consolidati principi secondo cui il potere di controllo del datore di lavoro deve trovare un contemperamento nel diritto alla riservatezza del dipendente, e secondo cui l'esigenza, pur meritevole di tutela, del datore di evitare condotte illecite da parte dei lavoratori non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e della riservatezza.
Ciò premesso, la Corte ha affermato che ad essere legittimi sono solo i così detti controlli difensivi in senso stretto, e cioè i controlli diretti ad accertare condotte illecite «ascrivibili - in base a concreti indizi - a singoli dipendenti» e che non hanno, né possono avere, ad oggetto l'adempimento delle ordinarie obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, ma soltanto condotte illecite potenzialmente lesive del patrimonio aziendale.
Non avrebbe senso, ribadisce la Corte, imporre al datore di lavoro il rispetto della procedura di negoziazione con i rappresentanti sindacali o di quella di richiesta di autorizzazione amministrativa, a fronte di eventi straordinari, che impongono al datore di lavoro una reazione rapida al fine di accertare immediatamente illeciti che potrebbero ledere o compromettere il patrimonio aziendale.

La sentenza, dunque, conferma la sopravvivenza di un'area, ancorché limitata, di legittimità dei controlli difensivi e riconosce l'esigenza, non altrimenti tutelabile, del datore di lavoro di procedere in modo spedito, e volendo anche occulto, all'accertamento di fatti di cui sospetta l'illiceità, al fine di consentirgli un ragionevole margine di reazione, che sarebbe compromesso se si dovesse procedere secondo la procedura di cui all'art. 4.
La sentenza, particolarmente attesa, ridisegna così i confini dell'istituto, di matrice giurisprudenziale, dei controlli difensivi che costituisce una sorta di unicum se messo a confronto con la disciplina degli altri paesi UE, che non conoscono, almeno non in questi termini, una fattispecie analoga. Ciò si spiega agevolmente sol che si consideri che la necessità della giurisprudenza italiana di coniare l'istituto dei controlli difensivi nasce, infatti, dalla circostanza per cui la prima disciplina legale in materia di controlli a distanza sul luogo di lavoro risale al 1970. Da questo punto di vista, l'Italia è stata tra i primi, se non il primo, ordinamento ad apprestare una tutela specifica della privacy del lavoratore, ben prima dell'adozione della disciplina privacy a livello europeo e ben prima degli altri Paesi UE.