Oltre la burocrazia, per far ripartire l'economia
Generazioni di economisti, ancor prima che autorevoli commentatori ed esponenti politici, da tempo immemore si confrontano sul ruolo dello Stato nell'economia. I sostenitori della mano invisibile del mercato trovano di regola forti argomenti nelle fasi di crescita economica, spesso lamentando il ruolo di freno esercitato dalle inefficienze della pubblica amministrazione. Per contro, in fasi di stasi o recessione dell'economia riprendono fiato i fautori del ruolo dei sussidi e degli investimenti pubblici quale condizione imprescindibile per la ripartenza.
Il mondo intero, dopo un periodo segnato dalla pandemia, si confronta oggi con inaspettati scenari di guerra, all'interno di un quadro geopolitico fortemente instabile e con forti ripercussioni sulle aspettative di crescita. In particolare, in Europa la crisi energetica sta mettendo in forte crisi la competitività delle imprese, oltre che generando un'inattesa pressione sui conti delle famiglie. In Italia le grandi aspettative generate dai fondi UE attraverso il PNRR cominciano a vacillare, di fronte alle urgenze collegate ai nuovi venti di crisi.
Ma è proprio in momenti come questo che il settore pubblico dimostra la sua importanza strategica, nel bene e nel male.
Ovvero, nessun paese europeo immagina di fronteggiare questa situazione di emergenza, così come quelle che purtroppo potrebbero seguire in futuro, senza una capacità progettuale e realizzativa della macchina pubblica. Dal pubblico passa inevitabilmente la messa a fuoco delle politiche, lo stanziamento di risorse ingenti per l'attuazione delle stesse, così come la concreta realizzazione di investimenti in grado di produrre sviluppo nel medio termine, sostenere la competitività delle imprese e promuovere il benessere dei cittadini.
Perché questo succeda, tuttavia, serve un'amministrazione pubblica moderna ed efficiente, finalmente sburocratizzata, capace di decidere e attuare velocemente. Proprio per questo le riforme della pubblica amministrazione all'interno dei paesi OCSE negli ultimi decenni hanno parecchio insistito su alcuni capisaldi comuni: lo snellimento dei grandi apparati, la semplificazione dei sistemi normativi e dei controlli, la responsabilizzazione dei dirigenti pubblici sui risultati, l'innovazione digitale e, non da ultimo, la collaborazione pubblico-privato. Il tutto si riconduce, nelle esperienze più avanzate, a due grandi traiettorie di cambiamento: rendere il pubblico efficiente quanto il privato, pur in assenza di concorrenza; prendere atto del fatto che il pubblico non può fare tutto e non può farcela da solo, restringendo di conseguenza il perimetro di intervento della pubblica amministrazione tradizionale ed espandendo, per contro, le forme di integrazione con il settore privato, profit e non profit.
In altri termini, per uscire da periodi di crisi e per affrontare nuove incertezze, le imprese e i cittadini hanno bisogno dell'intervento pubblico e viceversa.
Su tutti questi piani il nostro paese è avanzato sulla carta, molto meno nella sostanza. Lo smantellamento dei grandi apparati pubblici risale addirittura ai tempi del governo Blair in Gran Bretagna, così come le Société d'économie mixte sono radicate nella storia evolutiva dell'intervento pubblico in Francia. Di governo in governo, e quindi di riforma in riforma, in Italia preferiamo appassionarci a grandi disegni di trasformazione, che inevitabilmente si scontrano con ostacoli e resistenze consolidate al momento dell'attuazione. Siamo il paese dell'"implementation gap" e questo rischia di allontanarci dall'esperienza e dai percorsi di potenziale crescita dei paesi più avanzati.
I prossimi cinque anni saranno decisivi, una sorta di prova del nove per il settore pubblico. Gli indicatori macro-economici, la riduzione delle disuguaglianze di ogni genere, l'incremento dei tassi di attrattività dei cervelli, la promozione della mobilità sociale, non da ultimo la capacità di fronteggiare le grandi sfide in campo ambientale, ci diranno, numeri alla mano, chi avrà saputo dare alla pubblica amministrazione il ruolo che si merita rispetto a chi sarà ancora in attesa di improbabili riforme.