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La nuova strada del lusso è ispirazionale

, di Davide Ripamonti
Il settore si rifà il look per evitare che la crisi del 2024 da congiunturale diventi strutturale. Puntando anche a nuove tipologie di consumatori. Ne parliamo in questa intervista con Emanuela Prandelli

Il 2024 fa segnare per il settore del lusso, se non una vera e propria crisi, almeno una recessione. Secondo i dati del Luxury Goods Worldwide Market Study Altagamma-Bain, realizzato da Bain & Company insieme alla Fondazione Altagamma, le vendite hanno infatti registrato un -2%, in parte dovuto alla recessione della Cina e a una situazione di alta inflazione in molti paesi del mondo che ha generato sfiducia nei consumatori, in parte anche ad alcune politiche degli attori del settore, in particolare quella dei prezzi, che hanno fatto sorgere dubbi anche nei clienti più fedeli ed esclusivi. Ma quali sono i veri problemi di un comparto molto importante per l’economia mondiale, in particolare per quella europea e italiana, e quali le strade da percorrere in futuro per invertire il trend? Ne parla in questa intervista Emanuela Prandelli, professoressa associata presso il Dipartimento di Management e Tecnologia e LVMH Associate Professor di Fashion and Luxury Management presso l'Università Bocconi.

 

Il lusso, che aveva superato indenne anche la pandemia Covid19, è quindi in crisi?

Sicuramente il settore sta vivendo un momento di evidente difficoltà, arduo dire se si tratti di un fenomeno congiunturale o sia invece destinato a diventare più strutturale. Credo però che ci siano alcuni segnali di cambiamento nel comportamento dei consumatori destinati a perdurare.

Cosa ha dato inizio a questa discesa?

Il settore è andato progressivamente a cambiare la sua stessa configurazione di base. Siamo passati da un mercato con una classica struttura piramidale, con una base più ampia e una punta più ristretta, a una sorta di clessidra.
Si è andati cioè verso una crescente polarizzazione dei consumi, con i brand collocati nella fascia intermedia ad aver sofferto di più. Una polarizzazione determinata anche dalla crescente tendenza dei consumatori verso il cosiddetto “mix and match”, cioè il combinare insieme nel proprio look capi di brand diversi anche per fasce di prezzo, per esempio una t-shirt di Zara con la borsa di Chanel. Un fenomeno favorito anche dalla crescente quantità di informazioni a disposizione, soprattutto attraverso i social media, che ha aumentato la self confidence degli utenti, spingendo anche i clienti con maggior disponibilità alla spesa verso una crescente autonomia nella costruzione del proprio stile. 

Una tendenza, questa della polarizzazione, non ascrivibile solo al lusso quindi.

Esatto. Prendiamo per esempio il design. Da un lato ci sono i brand esclusivi di lusso, che oltre a competenze creative e produttive, hanno ampie capacità finanziarie e possono permettersi considerevoli investimenti a supporto della propria immagine; dall’altra ci sono giganti come Ikea e Maison du Monde, che offrono una grande varietà a prezzi contenuti. Spesso il consumatore arreda la propria casa mischiando elementi che provengono da entrambe queste fasce di mercato, integrando tra prodotti più accessibili alcuni pezzi più distintivi, per connotare la personalità del proprio spazio abitativo. Chi soffre sono coloro che stanno nel mezzo. Tornando per un attimo al discorso che facevamo prima, una volta una cliente di Chanel non avrebbe mai indossato un capo di Zara, adesso invece sì, c’è una cultura più aperta verso la contaminazione.

Torniamo alla clessidra…

La crisi economica ha portato all'innalzamento dei tassi di interesse e a un tasso di inflazione sempre più accelerato, che ha sensibilmente ridotto il potere d'acquisto di molte famiglie. Quindi molti clienti che si trovavano nella fascia, diciamo così, aspirazionale, sono rimasti schiacciati verso il basso, mentre chi si trovava nella fascia più alta ha risentito molto meno della congiuntura. Si è così allungato e assottigliato moltissimo il collo della clessidra, cioè la parte di mezzo. Il lusso è andato così sempre più reggendosi soprattutto grazie a una piccola percentuale, il cosiddetto 1% della clientela, che rappresenta la gran parte del fatturato. E le aziende fanno di tutto per mantenere fedeli questi clienti.

Ora però anche questo 1% sta mostrando segnali, potremmo dire, di nervosismo.

Per anni le case di alta gamma si sono fatte battaglia tra di loro, aumentando a dismisura i prezzi perché questi clienti sono sempre stati considerati “anelastici” ai vari rincari, al punto da consentire di tirare la corda all’estremo. Però a un certo punto qualcuno ha aperto gli occhi e ha cominciato a chiedersi che senso avesse pagare cifre di stagione in stagione sempre più alte spesso per lo stesso identico prodotto. 

Quali altre tipologie di consumatori si sono persi?

I cosiddetti consumatori “aspirazionali”, che acquistavano singolarmente molto meno dei clienti top ma tutti insieme avevano un certo peso sul fatturato. Si sono resi conto che anche risparmiando sempre più difficilmente sarebbero arrivati a potersi permettere i prodotti di fascia più alta (che continuano ad aumentare il proprio prezzo) e hanno cominciato ad indirizzare il proprio potere di acquisto ad altre categorie, in primis esperienziali, come viaggi e ristoranti. Oppure al second hand. Consideriamo inoltre che in questa tendenza alla polarizzazione molti brand hanno eliminato le seconde linee, quelle con prezzi più accessibili. Questo per evitare cannibalizzazioni. E se il consumatore deve mettere da parte una cifra considerevole per il prodotto di lusso, c’è anche la possibilità che una quota di preferenze si orienti verso il segmento del gioiello, che mantiene la sua aura di bene di investimento.

Un destino condiviso con altri settori. Il turismo per esempio.

Esatto. Alcune destinazioni hanno a tal punto aumentato i prezzi con l’obiettivo di continuare ad attrarre la clientela più abbiente e anelastica da arrivare a determinare un’inversione di rotta. Nell’ultima stagione le stanze invendute in alcune location sono così risultate non poche. E’ inevitabile che a furia di tirare la corda anche la domanda più anelastica finisca con lo spezzarsi... E la strategia degli ultimi anni di molti brand ha finito con il provocare questo effetto di disaffezione complessiva... . Si è interrotta la spirale, nell’uno come nell’altro caso.

Ogni regola però ha la sua eccezione. Quali brand si stanno mostrando più resilienti a questa crisi?

Alcuni brand, penso per esempio a Hermes, Loro Piana, Cucinelli, la stessa Chanel, hanno risentito meno della congiuntura e in qualche caso hanno addirittura incrementato i fatturati, ma hanno una cosa in comune, sono cioè “senza tempo”. Prodotti che non subiscono l’effetto delle mode e che rimangono attuali per decenni, mantenendo di conseguenza anche il proprio valore.

Abbiamo parlato fino adesso delle ragioni “interne”, che hanno portato a questo stato di difficoltà. Ci sono però anche alcune ragioni esogene.

Il blocco degli acquisti da parte della Cina è stato decisivo. Per anni il mercato del lusso si è in gran parte retto sugli acquisti dei consumatori cinesi, ma le attuali misure governative hanno cominciato a riorientare i consumatori verso l’acquisto di brand locali. Il mercato coreano è interessante e orientato all’innovazione, ma sicuramente più piccolo. Il mercato americano è sicuramente appealing per molti, ma per approcciarlo occorrono grandi disponibilità finanziarie per la sua vastità e complessità.

Si apre quindi una “stagione di caccia” a nuovi e giovani clienti. Come conquistarli?

I giovani stanno abbandonando l’idea di consumo aspirazionale sostituendola con quella di consumo ispirazionale: non è più sufficiente l’elevato price point per essere desiderabili. I nuovi consumatori puntano ai valori e scelgono il brand non solo in funzione della caratteristica del prodotto, ma del valore di cui quel prodotto è imbevuto o, meglio, di cui quel brand è imbevuto e in cui si possono riflettere.