La colpa è anche nostra
Che colpa hanno i cittadini e le cittadine statunitensi bianche per l’impostazione razzista delle loro istituzioni? Ci verrebbe da dire: “nessuna,” soprattutto se pensiamo ad attivisti e attiviste che si sono impegnate negli anni nelle battaglie dei diritti civili.
Eppure, tanti attivisti neri parlano proprio di colpa dei bianchi in blocco. Cosa succede se prestiamo attenzione a queste accuse? In filosofia politica così come nel dibattito pubblico il concetto di colpa non gode di buona reputazione. Nietzsche e l’aspirazione ad una secolarizzazione della politica ci rendono sospettosi rispetto a questa nozione. Preferiamo parlare di responsabilità e guardare al futuro piuttosto che al passato. La mia ricerca sulle rivendicazioni afroamericane nel contesto degli Stati Uniti, e ancor prima quella sulle tipologie di colpa individuate da Karl Jaspers nel tentativo di responsabilizzare il popolo tedesco dopo la Seconda guerra mondiale e l’olocausto, mi hanno portato però a rivalutare la valenza politica di questo concetto, e soprattutto dell’ascolto di chi è stato vittimizzato e alle loro rivendicazioni.
Cosa succede se invece di affrettarci ad esentarci dalla colpa a livello personale proviamo a prendere sul serio queste recriminazioni e a guardare alle strutture di potere che le hanno provocate? Forse potremmo notare configurazioni istituzionali e consuetudini che ci hanno sistematicamente avvantaggiati e avvantaggiate, anche quando pensavamo che i nostri successi fossero unicamente il frutto del nostro talento e del nostro duro lavoro. Forse vedremmo come il luogo dove siamo nati, la nostra cittadinanza, il colore della nostra pelle, magari il nostro retaggio familiare possono aver costituito un aiuto determinante. È colpa nostra?
Istintivamente pensiamo di no. O pensiamo davvero di esserci meritate tutto quello che abbiamo ottenuto, o magari ammettiamo di essere stati fortunati, ma non colpevoli. Il destino di altri, che effettivamente ci sembra peggiore del nostro, è quindi una questione di sfortuna e non di ingiustizia. Ma come vedono questi altri il loro destino in confronto al nostro? Possiamo davvero biasimarli se pensano di essere vittime non di sfortuna, ma di ingiustizia? La mia intuizione, sulla scia di una pensatrice che mi sta a cuore, Judith Shklar, è che guadagnare campo all’ingiustizia, rispetto alla sfortuna, apre spazio all’azione politica e al tentativo di contrastare le ingiustizie. Guardare all’ingiustizia come anche colpa nostra, come qualcosa di cui dobbiamo occuparci, qualcosa contro la quale dobbiamo combattere, è uno strumento fondamentale per il progresso sociale, politico ed economico condiviso.
Questo atteggiamento di rifiuto dell’ingiustizia e di accoglimento delle accuse di colpevolezza che ci vengono mosse da chi viene sconfitto ogni giorno nel gioco della vita, ha delle importanti implicazioni a livello politico domestico, ma soprattutto internazionale. È una responsabilità civile e politica di tutte e tutti noi, quella di capire come il nostro mondo si è configurato nella sua forma attuale: in quale condizione hanno lasciato le grandi potenze europee i paesi che avevano colonizzato? Con quale logica hanno tracciato i confini di questi paesi? Quali promesse hanno disatteso? E se possiamo ravvisare qualche colpa nel processo di decolonizzazione, quali passi si potrebbero fare per riparare eventuali torti? Ci sono delle responsabilità particolari di riparazione in capo ai colonizzatori di specifiche ex-colonie?
Qui è ancora Karl Jaspers che ci viene in aiuto, con la sua distinzione tra la colpa che viene attribuita in tribunale, la colpa legale, che effettivamente non può che essere personale e accertata in base ai principi dello stato di diritto, la colpa politica, nella quale incorre qualsiasi cittadino per le azioni intraprese dallo stato di cui fa parte, la colpa morale, che ci chiama a combattere attivamente le ingiustizie, e la colpa metafisica, che ci chiama a farlo anche quando ne va della nostra vita. Questi cerchi progressivamente più ampi disegnano un orizzonte normativo impossibile da soddisfare, ma anche una strada di giustizia alla quale vale la pena aspirare.