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Opinioni Politiche economiche

L’ Africa che verrà

, di Massimo Amato
La transizione del modello economico da estrattivo a manifatturiero, l’unione monetaria e un sistema commerciale interafricano le risposte inevitabili, e tra loro correlate, alla sfida demografica che caratterizza il continente

Il continente africano nel suo complesso è sempre più segnato dalla necessità di una transizione da un modello economico estrattivo a un modello di sviluppo trainato dalla manifattura. La ragione di questa necessità è innanzitutto demografica: la crescita demografica africana, caratterizzata da mediane estremamente basse e quindi da un potenziale di disoccupazione estremamente elevato, renderà non più sostenibile il modello estrattivo tradizionale, in cui le materie prime (minerali e agricole) vengono esportate con una lavorazione minima. 

Nella misura in cui questa transizione al manifatturiero avvenga, non potrà non comportare una tendenza a modificare la posizione del continente nel commercio mondiale, con un aumento della divisione del lavoro e del commercio all’interno del continente, e una modificazione dei termini di scambio con il resto del mondo. 

Poiché i movimenti reali presuppongono un'infrastruttura adeguata in termini di sistemi di pagamento e di accordi monetari, ciò avrà effetti anche sul versante monetario e finanziario. 

Tuttavia, poiché, nonostante il panafricanismo che anima l'Unione Africana, il continente non è affatto omogeneo, occorre partire dall'attuale frammentazione economica e istituzionale.

In Africa occidentale, l'ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale) ha da tempo in cantiere un progetto di moneta unica. Con due alternative. La prima, ufficiale, è quella di una moneta unica sul modello del Franco CFA. La seconda prevede una moneta comune con una parziale politica fiscale comune.

Il primo progetto mira a estendere la struttura monetaria del Franco CFA all'ECOWAS. A sua volta, il Franco CFA è stato periodicamente oggetto di critiche, soprattutto per il suo ancoraggio all'euro, considerato da molti un ostacolo allo sviluppo delle economie locali. La situazione attuale, tuttavia, è caratterizzata dalle turbolenze causate dall'uscita di Mali, Burkina Faso e Niger dall'ECOWAS (e probabilmente presto anche dal Franco CFA), che mette in discussione tutti gli equilibri politici.

In Africa dell’Est e del Sud del continente esistono solo accordi sub-regionali più o meno informali. Da un lato c'è l'area del Rand, la valuta sudafricana utilizzata per gli scambi transfrontalieri nell'area. Dall'altro, in Africa dell’Est ci sono aree commerciali regionali che continuano a tessere legami anche istituzionali pur senza dar luogo a unioni monetarie.

Se consideriamo tendenze politiche e geopolitiche più ampie, due sono i trend rilevanti: il costante aumento delle richieste di adesione ai BRICS, e l'accelerazione dell'attuazione dell'AfCFTA (l’accordo continentale di libero scambio).

Dopo l’adesione del Sudafrica nel 2010, l'interesse degli Stati africani per i BRICS non ha fatto che aumentare. Nel 2023, Algeria, Egitto, Etiopia, Nigeria e Senegal hanno chiesto di aderire, e il 1° gennaio 2024 Egitto ed Etiopia hanno ufficialmente aderito. Ancora più lungo è l'elenco degli Stati africani formalmente interessati: Angola, Comore, RD Congo, Gabon, Guinea Bissau, Costa d'Avorio, Libia, Sud Sudan, Sudan, Tunisia, Somalia, Uganda, Zimbabwe.

L'AfCFTA è stato siglato da 54 dei 55 Paesi dell'Unione Africana. Tra i suoi obiettivi c'è la creazione di un'unione doganale e di un sistema di pagamento continentale. Il secondo è ormai ufficiale: nel 2022 è stato lanciato il Sistema panafricano di pagamento e regolamento (PAPSS), gestito da Afreximbank, istituzione finanziaria multilaterale continentale creata nel 1993, poi gradualmente ricapitalizzata per far fronte ai crescenti impegni istituzionali. 

Lette in prospettiva, entrambe queste dinamiche lasciano intendere una strategia condivisa di lungo periodo volta ad aumentare il commercio interafricano, a modificare i rapporti con il resto del mondo e a diminuire la dipendenza degli Stati aderenti dal dollaro come valuta per il commercio e il suo finanziamento.

MASSIMO AMATO

Bocconi University
Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche