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I cinguettii afoni delle banche centrali

, di Donato Masciandaro
Uno studio analizza l’uso dei social media da parte delle banche centrali che concentrano i loro post su due temi: sistema dei pagamenti e politica monetaria. Quello che emerge è un cambio di rotta nel 2022 per BCE e FED non più in grado di fare informazione e quindi di essere velide bussole per i mercati

Le banche centrali cinguettano, ma sono senza voce. Traduzione: le tecniche di comunicazione migliorano, ma è l’informazione che viene offerta che lascia da qualche tempo a desiderare. Usando la metafora shakesperiana, in un tempo in cui servirebbero allodole che amano la luce, i banchieri centrali sembran diventati usignoli, sì instancabili, ma che amano le tenebre: comunicano di più, ma informano meno.

Il punto di partenza è la ricerca svolta con Oana Peia (University College, Dublino) e Davide Romelli (Trinity College, Dublino) su come le banche centrali comunicano utilizzando il social X (Twitter prima dell’estate del 2023). Analizzando le politiche di comunicazione delle banche centrali dei Paesi del G20, è emerso come X sia il social media più seguito per la grande maggioranza delle banche centrali. Fanno eccezione le banche centrali di Australia, Francia, Italia e Sud Africa, che sono relativamente più seguite su Linkedin, e quella della Corea del Sud, che è invece più seguita su Facebook. Fino allo scorso settembre, i post analizzati di X (prima noti come tweet) sono stati complessivamente oltre 215mila, con la banca centrale di Indonesia ad essere di tutte la più attiva. Quanto efficaci sono questi post? Se un indicatore di efficacia è la frequenza con cui i post iniziali vengono ripresi, le banche centrali che registrano i più alti tassi di ripresa dei post originariamente pubblicati sono nell’ordine le banche centrali di Arabia Saudita e Giappone, seguite dalla FED e dalla BCE.

Ma di cosa parlano i post? Gli argomenti che attirano l’attenzione in termini relativamente maggiori possono essere raggruppati in due categorie: sistema dei pagamenti e politica monetaria. Se sistema dei pagamenti significa essenzialmente comunicazioni su banconote e monete, nel perimetro della politica monetaria abbiamo il cuore dell’attività delle banche centrali, cioè le informazioni sulle scelte in termini di tassi e di liquidità.

Ormai lo sanno anche i sassi: l’efficacia della politica monetaria dipende dalla sua capacità di influenzare le aspettative. La citazione d’obbligo qui è quel di Ben Bernanke, già governatore della FED, ed ora anche – molto sorprendentemente – premio Nobel dell’economia, per cui oggi la politica monetaria è 98 per cento parole, cioè annunzi. L’annunzio di politica monetaria, se è credibile, aumenta la probabilità che le aspettative di famiglie, imprese e mercati vadano nella direzione che, di volta in volta, è auspicabile per la stabilità macroeconomica. L’annunzio monetario è stato la grande novità che le banche centrali hanno introdotto nella politica monetaria quando, a partire dal 2008, sono iniziati i cosidetti tempi straordinari, quando cioè si è dovuto affrontare in sequenza la crisi finanziaria, quella dei debiti sovrani ed infine la recessione pandemica. L’annunzio monetario è uno strumento per indirizzare il vero motore macroeconomico – le aspettative – se la banca centrale è trasparente e credibile: si chiama effetto Ulisse, proprio ricordando l’eroe omerico che convince i suoi uomini facendosi legare all’albero maestro. La teoria dell’annunzio monetario è diventata progressivamente sempre più robusta e consolidata, l’evidenza empirica continua ad accumularsi, sempre confermando il nesso tra annunzi della banca centrale ed efficacia della politica. 

Prendiamo i risultati pubblicati dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS). I ricercatori della BIS hanno analizzato gli annunzi di quattro diverse banche centrali: la FED, e le autorità monetarie di Norvegia, Nuova Zelanda e Svezia. Il tratto comune delle banche centrali analizzate è la pubblicazione di proiezioni future sui tassi di interesse, anche se nel caso della FED tali proiezioni non hanno un carattere di ufficialità. Gli annunzi sono stati valutati innanzitutto in base alla loro prevedibilità: in termini generali, ed in tempi normali, una banca centrale deve avere comportamenti trasparenti, quindi prevedibili. Il risultato medio è che l’allineamento tra annunzi della banca centrale e mercati finanziari c’è, e per la Norvegia arriva al 75% di prevedibilità. Ma una banca centrale che in tempi normali è prevedibile, deve essere credibile quelle volte che fa scelte a sorpresa, cioè non anticipate dai mercati; in quei casi, la credibilità è misurata da quanto i mercati aggiustano i loro comportamenti, dopo la sorpresa. Anche la credibilità pare esserci, anche se gli aggiustamenti di mercato oscillano tra il 5 ed il 30%. Insomma: ancora una volta, l’evidenza empirica mostra che l’afonia delle banche centrali, quali la FED e la BCE, non è giustificabile. 

Ma quando le banche centrali sono diventate afone? La politica dell’annunzio era stato un caposaldo della navigazione: BCE e FED erano diventate bussole per l’economia privata. L’anno orribile è stato il 2022. Prima un sistematico errore di previsione, che si è trascinato per un anno e mezzo: un’inflazione descritta come temporanea, nei tempi e nei modi, non lo è stata affatto. Poi un cambio di rotta, in cui spariscono gli annunzi monetari, e si decide “riunione per riunione” “sui dati disponibili in quel momento”. Fine della trasparenza. L’economia privata non ha più una bussola: deve interpretare, con il potenzialmente benefico effetto Ulisse che viene sostituito dal tossico effetto Delfi, chè interpretare fa rima con sbagliare. I governatori delle banche centrali fanno una scelta dannosa per l’economia, ma opportunisticamente vantaggiosa a livello personale: dopo aver sistematicamente sbagliato, si sceglie come rimedio il silenzio. BCE e FED da bussole si trasformano in galleggiante; non guidano più le aspettative, ma ad esse si adeguano.

Non basta: ad aumentar l’incertezza, il silenzio istituzionale è coperto dagli strepiti dei pavoni – banchieri centrali che surrettiziamente sostituiscono la loro voce a quella istituzionale, magari violando le regole sull’embargo informativo – ed i corvi – banchieri centrali che utilizzano l’anonimato per destabilizzare le decisioni collettive. Se a ciò si aggiunge la fisiologica diversità di punti di vista sulla condotta della politica monetaria – i falchi e le colombe – la confusione nella voliera diventa massima. 

In conclusione: migliorare la comunicazione, ma peggiorare l’informazione, fa assomigliare le banche centrali al cigno di Leda: bellissimo in apparenza, ma chi c’è dentro è tutto da scoprire.

 

 

 

DONATO MASCIANDARO

Bocconi University
Dipartimento di Economia