Contatti
L’Unione Bancaria Europea compie 10 anni. Un processo non ancora completato, ma che ha consentito di rafforzare il sistema bancario e di scongiurare le crisi del passato. Come spiega Brunella Bruno

A novembre compie 10 anni. L’Unione Bancaria Europea, che ha previsto il trasferimento di competenze nel campo della vigilanza sulle banche dalle autorità nazionali alla Banca centrale europea (Bce), è un processo iniziato un po’ prima, negli anni dal 2010 al 2012, quando la crisi del debito sovrano in alcuni paesi finanziariamente deboli, come Italia, Spagna, Portogallo e soprattutto Grecia, rischiava di minare alle fondamenta la moneta unica, ma che ha visto il suo primo pilastro, il Meccanismo di Vigilanza Unico, diventare operativo nel novembre 2014. Erano, quelli del periodo 2010-2012, i tempi dello spread che impazzava (e impazziva) e che teneva banco sulle pagine di tutti i giornali. Di Unione Bancaria, delle sue funzioni e prerogative, nonché dello stato dell’arte di un percorso ancora in divenire, parliamo in questa intervista con Brunella Bruno, docente di Economia degli intermediari finanziari presso il Dipartimento di finanza dell’Università Bocconi.

Torniamo a quegli anni che precedettero il big bang del 2014. Che atmosfera si respirava nell’Unione Europea e quali erano le principali preoccupazioni?

In quegli anni sono emerse chiaramente le vulnerabilità di alcuni Paesi dell’area euro, come l’elevato debito pubblico in Grecia e in Italia e gli eccessi speculativi nei mercati immobiliari di Spagna e Irlanda. Di conseguenza, si è ampliato il differenziale dei tassi di interesse sul debito pubblico tra i Paesi più vulnerabili, tra cui l'Italia, e quelli finanziariamente più solidi, come la Germania. Per dare un’idea dell’entità del problema, alla fine del 2012 il differenziale di rendimento tra i BTP italiani e i Bund tedeschi decennali aveva superato il 5% (oggi è intorno all’1,2%). In queste situazioni, più si amplia lo spread, più calano i prezzi dei titoli di debito emessi dai Paesi "deboli". Se poi una banca italiana detiene molti BTP i cui prezzi scendono a causa della percezione di maggiore rischio del governo italiano, allora la fragilità dello Stato può tradursi in una fragilità delle banche che detengono quei titoli. Si instaura così un circolo vizioso, noto come bank-sovereign vicious loop, tra rischio sovrano e rischio bancario, in cui la fragilità del governo si ripercuote sul sistema bancario e viceversa. Un meccanismo che si è cercato di evitare nell'area dell’euro per salvaguardare la stabilità della moneta unica. Da qui nascono domande cruciali: se un sistema bancario di un Paese membro va in crisi, quali saranno le ripercussioni per l’Unione monetaria? Chi dovrebbe sostenere il sistema bancario in difficoltà senza ricorrere ai soldi dei contribuenti? Ecco, questo era il contesto.

Che ha quindi prodotto un’Unione Bancaria che si fonda su tre pilastri, anche se il processo non si è ancora completato. A che punto siamo?

I tre pilastri sono il Meccanismo di Vigilanza Unico e il Meccanismo Unico di Risoluzione delle crisi, che sono operativi, e il sistema europeo di assicurazione dei depositi, che ancora non è stato realizzato. Il tutto ovviamente fondato su un corpus di norme comuni. All’Unione Bancaria aderiscono tutti gli Stati membri della zona euro e, su base volontaria, alcuni paesi dell’Unione europea (Ue) che, pur non adottando l’euro, decidono di sottoscrivere accordi di stretta cooperazione con la Bce. Per esempio, nell’ottobre del 2020 la Bulgaria è entrata a far parte della vigilanza bancaria europea mediante “cooperazione stretta”.

In che cosa consiste il Meccanismo di Vigilanza Unico? Quali sono le sue funzioni?

Il Meccanismo di Vigilanza Unico, che riunisce la Bce, nel ruolo di supervisore centrale, e le autorità di vigilanza nazionali (come la Banca d’Italia), concede e revoca licenze bancarie, conduce ispezioni, fissa i requisiti patrimoniali, detta linee guida in materia di gestione dei rischi. La vigilanza unica si esercita sugli enti creditizi dell’euro- zona e, come dicevamo prima, anche degli Stati membri della Ue (la cui moneta non è l’euro) che scelgono di aderirvi. A ricadere però sotto l’occhio del supervisore unico non sono tutte le banche, ma solo i gruppi bancari più significativi. I criteri per determinare se una banca è “significativa” – ed essere quindi sottoposta alla vigilanza diretta della Bce – si riferiscono alle dimensioni (attivi superiori a 30 miliardi di euro), alla rilevanza economica e alle attività transfrontaliere di una banca. Complessivamente si tratta di circa 110 banche (ora sono 113, l’elenco viene aggiornato annualmente) che rappresentano oltre l’80% degli attivi bancari dell’area dell’euro. 

Una risposta necessaria dell’Europa non a una, bensì a due crisi globali quasi consecutive.

Certamente. Non a caso, infatti, l’economia degli Stati Uniti, che ha sofferto molto a seguito della crisi dei mutui subprime del 2007-2009, si è ripresa più rapidamente rispetto a quella europea, colpita da due crisi consecutive. In alcuni Paesi europei, la crisi del 2007-2009 e quella del debito sovrano negli anni successivi hanno evidenziato come problemi e vulnerabilità possano rapidamente trasmettersi non solo dal sistema bancario all’economia locale, ma anche ad altre economie e sistemi finanziari dell’Unione. A loro volta, le crisi economiche tendono a riflettersi sulla salute delle banche: quando il tessuto economico si deteriora, per esempio, gli imprenditori fanno più fatica a rimborsare i propri prestiti. C’è quindi uno stretto legame tra l’andamento dell’economia e la solidità dei bilanci bancari. Anche per questo motivo la Bce ha assunto il ruolo di supervisore sulle principali banche europee.

Non prima però di un’attenta revisione dei bilanci delle banche stesse.

Sì, è stata necessaria un’intensa attività di revisione degli attivi bancari da parte della Bce, rivolta alle banche sulle quali avrebbe vigilato di lì a breve. Questo perché i criteri di valutazione di alcune voci degli attivi bancari variavano da banca a banca e da Paese a Paese, anche a seguito dei diversi stili di supervisione adottati dalle autorità nazionali. L’esame della qualità degli attivi, effettuato nel corso del 2014 prima del passaggio della supervisione unica alla Bce, è stato fondamentale per garantire trasparenza e comparabilità. Completata questa fase, la Bce ha implementato la sua attività di vigilanza in modo coerente tra banche e Paesi diversi.

E questo cambiamento ha funzionato e, in particolare, che cosa ha determinato?

La Bce si è rivelata un supervisore severo ed esigente che ha avuto il merito di rendere il sistema bancario europeo più solido, perché più capitalizzato, con indicatori di liquidità più elevati e con minori crediti deteriorati. Questi ultimi, per esempio, hanno rappresentato un enorme problema per l’Italia. Nel 2015-2016, nell’area euro erano presenti mille miliardi di euro di crediti deteriorati, di cui un terzo detenuti dalle banche italiane. Quasi il 20% del portafoglio creditizio delle nostre banche risultava deteriorato, una situazione gravissima poiché una banca afflitta da crediti problematici smette di svolgere la sua attività principale – raccogliere depositi ed erogare prestiti – per concentrarsi sul recupero dei crediti. Oggi, anche grazie agli interventi rigorosi della Bce in questo ambito, quel 20% è sceso a un più tollerabile 5%.

Le banche che ricadono sotto la supervisione della Bce, dicevamo prima, sono circa un centinaio. Il sistema bancario dell’Unione però è molto più vasto. Cosa accade alle altre?

Le banche dell’euro-zona sono circa 2.000. Escludendo le 113 significant institutions di cui abbiamo parlato, rimangono quelle less significant, che vengono sorvegliate dalle banche centrali nazionali, sotto il coordinamento e la responsabilità ultima della Bce. La Bce mantiene su queste ultime una supervisione "indiretta", per garantire che non vi siano differenze regolamentari eccessive tra banche significative e meno significative. Lo scopo finale dell’Unione Bancaria è dunque salvaguardare la solidità del sistema bancario europeo attraverso un sistema coerente di regole e controlli sulle banche operanti in Paesi diversi. Ne dovrebbe conseguire un mercato bancario e dei capitali meno frammentato: la cosiddetta financial integration, cioè l’integrazione tra mercati finanziari di Paesi diversi, è un obiettivo indiretto, una conseguenza auspicabile di una vera unione monetaria e bancaria.

Se, nonostante tutte le misure di prevenzione previste nel primo pilastro una qualche crisi si determina, interviene il secondo pilastro, il Meccanismo di Risoluzione Unico. Che cosa fa esattamente?

La sua missione è garantire una risoluzione ordinata delle banche in difficoltà, con un impatto minimo sull’economia reale e sulle finanze pubbliche dei Paesi partecipanti. Regole rigorose e un’attenta supervisione rendono meno probabile che una crisi bancaria si verifichi o che venga risolta grazie all’impiego di fondi pubblici. Si pensi a quanto è successo in Irlanda a partire dal 2007, quando il crollo del settore immobiliare ha messo in difficoltà le banche più esposte, per salvare le quali è occorso un ingente intervento del governo irlandese che ha comportato un forte aumento del debito pubblico. In generale, il primo pilastro (vigilanza unica) è stato quello che ha ottenuto maggior successo. Sul secondo (risoluzione e gestione delle crisi) resta ancora del lavoro da fare.

Il terzo pilastro, ancora da concretizzare, il sistema europeo di assicurazione dei depositi, prevede un grado di copertura assicurativa più forte e più uniforme nell'area dell'euro, assicurando che il livello di fiducia dei depositanti in una banca non dipenda dalla localizzazione della banca. A che punto siamo?

È davvero il tassello mancante e, al momento, non sembrano esserci grandi progressi all’orizzonte. La causa parrebbe risiedere nella mancanza di un accordo su come condividere gli oneri di un’assicurazione comune sui depositi, data la presenza di banche appartenenti a Paesi diversi (attualmente, il meccanismo di tutela dei depositi ha carattere nazionale). Possiamo tuttavia fare una riflessione. Se il ritardo nella costruzione del terzo pilastro fosse effettivamente imputabile al timore dei Paesi fiscalmente più virtuosi di doversi fare carico dei costi delle crisi bancarie di Stati finanziariamente più deboli, tale preoccupazione dovrebbe essere mitigata dal rafforzamento generale del sistema bancario europeo. I primi due pilastri dell’Unione Bancaria dovrebbero assicurare che, con banche sempre più solide, diminuiscano le probabilità di una crisi e il rischio che una crisi bancaria diventi ingestibile. In ultima analisi, in questa circostanza, si ridurrebbe anche la necessità di un intervento del sistema europeo di assicurazione dei depositi.