Anche i robot votano e portano al successo i partiti nazionalisti
La crisi del liberalismo inclusivo e l'ascesa dei partiti di destra in Europa hanno radici lontane. Nascono negli anni '90, quando trasformazioni strutturali dell'economia producono effetti talmente dirompenti da provocare un riallineamento dei gruppi sociali lungo nuove linee di frattura. Ne scrivono Italo Colantone e Piero Stanig del Dipartimento di scienze sociali e politiche nell'articolo Alle radici del nazionalismo contenuto nel numero di gennaio-marzo 2019 di Economia & Management, la rivista di direzione aziendale di SDA Bocconi. Secondo gli autori, i processi di globalizzazione e di automazione del lavoro hanno giocato un ruolo fondamentale nell'ascesa pressoché costante del consenso dei partiti di destra radicale nell'Europa occidentale. "Questi processi portano guadagni aggregati, ma tendono a sfavorire i lavoratori con competenze e livelli di istruzione medio-bassi", spiega Colantone. "Mentre le diseguaglianze crescono, i perdenti non vengono adeguatamente compensati anche a causa della liberalizzazione dei flussi di capitali che provoca la riduzione delle entrate dello Stato. Queste persone non si sentono più rappresentate dai partiti mainstream e cercano soluzioni alternative. È perciò un fenomeno scatenato principalmente da dinamiche economiche, che si manifestano poi anche in cambiamenti di carattere culturale". Il risultato è il successo di partiti accomunati da quello che gli autori chiamano nazionalismo economico, vale a dire un mix di isolazionismo, inteso come avversione al multilateralismo e alle istituzioni sovranazionali, retorica nazionalista e conservatorismo economico accompagnato da ricette semplici. Il futuro, però, non è scritto.
"Le promesse dei nazionalisti economici si stanno scontrando con la realtà dei fatti, mentre i partiti mainstream potranno ristrutturarsi e rendersi nuovamente credibili affrontando in modo efficace le disuguaglianze generate dai cambiamenti del sistema economico".
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