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COVID19 cambia il modo di pensare alla sicurezza alimentare

, di Fabio Todesco
La pandemia sembra essere partita dai banchi di un mercato, con possibili implicazioni sull'utilizzo del principio di precauzione nei trattati internazionali, che Leonardo Borlini sta studiando

Il coronavirus è probabilmente passato dai pipistrelli all'uomo in un mercato di animali vivi a Wuhan. Questa circostanza porta alla ribalta il tema della sicurezza alimentare, presente nei capitoli dedicati ai Sanitary and Phitosanitary Standards dei trattati di libero scambio, e cambia le prospettive del progetto di ricerca The Future of Food Safety and Sustainability in Globally Integrated Markets, che Leonardo Borlini, assistant professor di Diritto internazionale, avrebbe dovuto seguire nei prossimi mesi all'Erasmus University di Rotterdam con Alessandra Arcuri, grazie a un finanziamento del Dutch Research Council. «Il coronavirus è un vero e proprio detonatore del principio di precauzione», afferma Borlini, «e potrebbe aprire la strada a considerazioni di impatto ambientale nella valutazione del rischio alimentare».

In un precedente lavoro condotto presso la Fletcher School of Law and Diplomacy grazie a un Fulbright Research Scholar Grant, Borlini ha individuato e analizzato tutte le clausole dei trattati internazionali di libero scambio che riguardano la sicurezza alimentare, analizzando la posizione negoziale di tre grandi attori: Unione europea, Stati Uniti e Cina. Il principio di precauzione – secondo cui se esistono fondati motivi di temere possibili effetti nocivi sull'ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante, ma vi è incertezza scientifica in merito, si possono adottare misure per ridurre al minimo o evitare potenziali rischi – è difeso dall'Unione europea e criticato dalle altre grandi potenze economiche, che ritengono possa essere usato come strumento protezionistico. «Ma dopo la vicenda del coronavirus», commenta Borlini, «è chiaro che l'UE avrà ancora meno ragioni per modificare la sua posizione in proposito, mentre Stati Uniti e Cina potrebbero trovarsi di fronte all'esigenza di accettare un uso più ampio e il suo inserimento nei nuovi trattati preferenziali ancora da concludere. I regolatori nazionali avranno così maggiore spazio di manovra per bloccare l'importazione di determinati alimenti sulla base di questo principio, senza perciò commettere un illecito internazionale».

Un altro aspetto della vicenda coronavirus che, se confermato, potrebbe influire sulla sicurezza alimentare è il fatto che abbia colpito soprattutto aree ad alto inquinamento. In tutto il mondo sono in corso ricerche volte a verificare se l'inquinamento contribuisca alla trasmissione del virus e alla gravità dei suoi sintomi, colpendo polmoni già indeboliti dallo smog. «Ogni decisione di consentire o bloccare l'importazione di un alimento», spiega Borlini, «deve essere preceduta da una valutazione del rischio. Ora, penso a prodotti dal packaging ridondante, come alcune confezioni di insaccato o formaggio con le singole fette separate da fogli di plastica: se il danno ambientale avrà un peso maggiore nella valutazione del rischio alimentare, esisteranno i presupposti legali per limitarne l'uso, pena una loro minor commerciabilità internazionale».

All'indomani dello scoppio della pandemia, Borlini ha anche avviato un altro progetto di ricerca sui programmi di Pandemic Emergency Financing Facility, come i cosiddetti Pandemic Bond, gestiti dalla Banca Mondiale. «Si tratta di strumenti finalizzati a finanziare la gestione di situazioni di pandemia nei paesi in via di sviluppo, meno attrezzati a farvi fronte. In passato, con l'ebola, hanno mostrato evidenti punti di debolezza e c'è consenso sul fatto che vadano modificati. Si deve capire come, per fare in modo che il cambiamento sia migliorativo».