Rimettere in moto la mobilita' sociale guardando al passato
Negli ultimi anni la mobilità sociale è stata oggetto di intense ricerche, principalmente perché vi sono segnali che le società occidentali stanno divenendo sempre più immobili, peraltro in un contesto di disuguaglianze crescenti. Questa sensazione è diffusa anche nella società civile e contribuisce a creare disagio e instabilità politica e sociale. Come sempre, l'interesse per il presente porta a guardare al passato per cercare qualche possibile insegnamento.
D'altra parte, il giudizio sui livelli di mobilità delle società attuali tende a cambiare a seconda di quale crediamo sia il livello di mobilità "normale" per le società umane e di quali fattori storici riteniamo lo determinino. Non a caso, già Pitirim Sorokin, lo studioso che più di tutti ha contributo a conferire sistematicità agli studi sulla mobilità sociale, poneva tra le domande cruciali a cui cercare risposta quella relativa alle tendenze della mobilità nel lunghissimo periodo (la mobilità sociale è stata approssimativamente costante nel tempo, o è cambiata e se sì, in quale direzione e perché?). Tuttavia, a differenza della disuguaglianza per la quale disponiamo oggi di ricostruzioni di buon livello delle tendenze nel lunghissimo periodo, pochissimi studi hanno potuto fornire informazioni attendibili circa la mobilità nel passato, anche per rilevanti ostacoli tecnici alla sua misurazione sulla base delle fonti storiche disponibili.
Una posizione abbastanza diffusa negli studi storici recenti è che nell'Europa preindustriale le opportunità di mobilità sociale ascendente fossero maggiori di quanto non si credesse un tempo. Individui con elevate competenze (artisti, ingegneri, studiosi o scienziati) riuscirono spesso ad acquisire status sociale elevato e accumulare grandi patrimoni. Anche la Chiesa offriva a individui di relativamente umili origini buone possibilità di ascesa sociale. Infine, in molte aree dell'Europa mercanti e imprenditori potevano entrare a far parte del patriziato locale, di solito a seguito del versamento di somme cospicue.
In direzione opposta, lo storico economico americano Gregory Clark, sulla base di dati relativi principalmente a Inghilterra e Svezia, ha recentemente proposto che i tassi di mobilità ascendente fossero molti bassi e sostanzialmente costanti nel tempo. Inoltre, lo status si trasmetterebbe da una generazione all'altra secondo modalità simili alla trasmissione dei tratti geneticamente determinati. La "natura" prevarrebbe quindi sull'educazione come determinante dello status, il che parrebbe smentire posizioni ampiamente diffuse tra gli scienziati sociali. Clark è stato molto criticato, anche per il metodo da lui introdotto per misurare la mobilità nel lunghissimo periodo a partire dalla persistenza dello status tra individui caratterizzati da cognomi rari, i cui discendenti possono quindi essere identificati con relativa facilità.
Analisi come quella di Clark, che usano metodi di stima della mobilità sociale piuttosto indiretti, richiedono verifiche basate su approcci più tradizionali e "diretti", basati cioè sull'osservazione delle tendenze caratterizzanti individui e famiglie, generazione dopo generazione, in diversi contesti ed epoche storiche. Questi approcci, però, richiedono campagne di raccolta dati (solitamente a partire da fonti manoscritte) su larga scala, e richiedono finanziamenti ingenti: come nel caso del progetto SMITE - Social Mobility and Inequality across Italy and Europe 1300-1800 (www.dondena.unibocconi.it/SMITE), finanziato dallo European Research Council. Tale progetto ha già consentito di individuare fasi storiche di più o meno intensa mobilità, e sta procedendo a esplorarne sistematicamente le cause.
Una prima osservazione rilevante è che, lungi dall'essere stabile nel tempo, la mobilità sociale in età preindustriale subiva fluttuazioni molto significative: come nel caso del periodo immediatamente successivo alla Peste Nera del 1347-51, che delineò in tutta Europa condizioni eccezionalmente favorevoli all'ascesa di nuovi protagonisti (in un contesto di disuguaglianza economica relativamente bassa, a seguito del livellamento causato proprio dalla peste). Dopo due-tre generazioni, però, la mobilità sociale iniziò a portarsi attorno a livelli più contenuti. Nell'Europa meridionale, anzi, essa continuò a ridursi durante l'età moderna, processo particolarmente vistoso nel Seicento e che neppure le terribili pestilenze del 1630 e del 1656-57 poterono invertire. In Italia, in particolare, verso la metà del secolo si era radicata una combinazione particolarmente negativa di difficile mobilità ascendente, economia stagnante e disuguaglianze economiche crescenti – una combinazione del tutto analoga a quella che sembrava caratterizzare il Paese anche alla vigilia del Covid-19. Sotto questo profilo, non possiamo che sperare che la crisi in corso porti a una rottura con il passato.