Pride, dall'attivismo alla giurisprudenza
Dal 28 giugno 1970, giorno in cui a New York fu organizzata la Christopher Street Liberation Day, riconosciuta come primo Pride, in celebrazione dei moti di Stonewall dell'anno precedente, il ruolo dell'attivismo nel riconoscimento dei diritti della comunità LGBTQI+ è cresciuto contribuendo sia a modificare la cultura che la legislazione di singoli Paesi e assumendo un ruolo rilevante a livello transnazionale. E proprio di questo discutono in questa video intervista doppia la filosofa politica Giunia Gatta e la giurista Graziella Romeo.
Se volgiamo lo sguardo più indietro "il primo attivista dell'orgoglio è stato John Stuart Mill", spiega Gatta, adjunct professor in Bocconi dove insegna Human rights. "Mill, nell'Inghilterra del XIX secolo, ha suggerito che la libertà si ottiene permettendo a tutti di aprire nuovi modi di essere, che gli altri saranno in grado di seguire con fiducia nel tempo, a condizione che non danneggino gli altri".
Da allora "il progressivo riconoscimento legale dei diritti delle persone LGBTQI+ ha beneficiato dell'attivismo tradotto in un innumerevole numero di cause legali avviate dalla comunità per rendere visibili le proprie rivendicazioni e sfidare la legge nei suoi stessi termini", commenta Romeo, professore associato che in Bocconi tiene, tra l'altro, i corsi di Fundamental rights in Europe e Gender law and woman rights. "Sono convinta", continua Romeo, "che il progresso delle persone LGBTQI+ sia dipeso finora dall'interazione tra legislatori, tribunali e società civile in alcuni contesti (Stati Uniti) e principalmente dalle forze progressiste in molti altri (Europa meridionale)".
Il ruolo dell'attivismo, come spiegano le due docenti, gioca un ruolo fondamentale non solo a livello locale ma soprattutto transnazionale perché "i Paesi che approvano leggi su temi come l'hate speech, il matrimonio gay o la maternità surrogata fungono da modello per gli altri e contribuiscono a normalizzare, letteralmente, questi processi", sottolinea Gatta. "L'attivismo transnazionale", interviene Romeo, "è giuridicamente rilevante in una duplice prospettiva perché favorisce la circolazione di argomenti giuridici che vengono poi utilizzati in cause avviate in sedi internazionali, tipicamente la Corte europea dei diritti dell'uomo. Inoltre, contribuisce a fare luce sui cambiamenti legislativi o giudiziari che avvengono in Paesi meno esplorati dal punto di vista accademico come per esempio l'Uganda".
Oggi gran parte dell'attivismo LGBTQI+ si concentra sul riconoscimento dei diritti della famiglia e proprio "sulla scia dei movimenti queer", dice Gatta, "si sta affermando una nozione più ampia di famiglia, che supera quella nucleare, da alcuni idealizzata e considerata naturale e normale anche se non era e non è ancora così in molte parti del mondo. Alcuni fanno risalire questa formazione sociale al Medioevo in Inghilterra, ma sicuramente non nell'Europa meridionale. Di certo la vediamo in modo consistente nel mondo sviluppato a partire dal XIX secolo e soprattutto nel XX secolo, dopo la Seconda Guerra Mondiale e fino agli anni Settanta. Credo invece, continua Gatta, "che oggi le forme più interessanti non siano solo i tentativi di riprodurre la famiglia nucleare con genitori dello stesso sesso, ma anche l'immaginazione di nuove formazioni sociali in cui le persone si sostengono e si proteggono a vicenda". Guardando all'Italia, conclude Romeo, "la giurisprudenza ha aperto alcuni spazi per il riconoscimento di formazioni di tipo familiare, ma il Parlamento non sembra incline a fare alcun passo in questa direzione. In altri Paesi europei (Francia o Spagna) le famiglie non tradizionali sono più facilmente costituite e tutelate".