La parola giusta e' interdisciplinarieta'
Oggi le Scienze sociali hanno un compito molto importante. Contribuire a trovare delle risposte alle sfide globali che i cittadini di tutto il mondo hanno di fronte: l'aumento delle diseguaglianze economiche, l'incremento dei paesi autocratici o con democrazie imperfette, l'invecchiamento della popolazione. Per farlo è necessario un approccio scientifico che, pur valorizzando le conoscenze specifiche di ogni disciplina sociale – come la demografia, l'economia, le scienze politiche, la sociologia, la storia, sia in grado di proporre una visione di insieme che integri le diverse conoscenze con una metodologia interdisciplinare. Questo approccio interdisciplinare è in realtà facilitato dai grandi cambiamenti che si sono verificati nel mondo scientifico: la diffusione e l'uso dei big data, l'incredibile aumento delle capacità computazionali, lo sviluppo dell'intelligenza artificiale. «I dati sono diventati il linguaggio comune tra le diverse discipline, fondamentali per analizzare la realtà, e le Scienze sociali e politiche hanno finito per essere più empiriche, data driven. È attorno a questo approccio empirico che accademici con differente formazione possono riunirsi per rispondere agli interrogativi globali, con un approccio policy oriented, ossia rivolto a proporre concrete politiche risolutive», spiega Vincenzo Galasso, direttore del Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell'Università Bocconi di Milano.
Si è passati da una ricerca scientifica guidata da una teorizzazione spesso troppo astratta o puramente descrittiva alla possibilità di studiare il mondo circostante partendo dall'osservazione dei dati. Ciò ha reso possibile identificare legami e interconnessioni tra fenomeni apparentemente lontani, come la globalizzazione e la nascita dei populismi, come l'automazione e la fertilità, come l'invecchiamento e l'innovazione tecnologica.
«Insomma, in due parole si è passati dalla multidisciplinarietà all'interdisciplinarietà», sottolinea Galasso. «Ecco perché il nostro Dipartimento si apre a discipline differenti, dall'epidemiologia fino alla demografia, con in comune una metodologia quantitativa di ricerca. A partire dall'anno prossimo, partiranno i primi progetti finanziati dal Dipartimento e assegnati a diversi team di lavoro con studiosi provenienti da varie discipline».
Cosa resta della vecchia dottrina politica?
Le Scienze sociali e politiche erano impostate prima più come teorie narrative, qualitative, descrittive o normative. Producevano modelli soprattutto teorici, spesso difficili da testare. La trasformazione in un'ottica maggiormente empirica e interdisciplinare è sicuramente in atto in ambito internazionale. In Bocconi, le scienze politiche si sono subito sviluppate seguendo un metodo quantitativo, come confermato anche dal nostro Bachelor in International Politics and Government e dal Master of science in Politics and Policy Analysis. Questi programmi nascono dall'idea che la realtà non è segmentata per discipline accademiche, che bisogna saper leggere i dati attraverso le lenti d'ingrandimento di ogni studioso, dallo storico economico all'esperto di welfare, per vedere la realtà come un insieme sfaccettato ma organico.
Quali sono gli svantaggi di un'impostazione interdisciplinare?
Agli accademici è chiesto di pubblicare i propri studi in riviste scientifiche internazionali e spesso è più facile pubblicare lavori monodisciplinari. Pubblicare nelle riviste top internazionali non è mai facile, ma i progetti di ricerca interdisciplinari rischiano di trovare una difficoltà ancora maggiore. Da Nature a Science, giusto per citare le riviste scientifiche più note, non mancano gli esempi di interdisciplinarietà, che richiedono tuttavia uno sforzo, ma soprattutto un rischio maggiore che può preoccupare gli accademici più giovani – quelli che non hanno ancora ottenuto la "tenure".
Come si evita il tranello di vedere una realtà segmentata?
Non è semplice. Consideriamo il tema dell'invecchiamento della popolazione. La Bocconi è leader di uno spoke del progetto Age-IT, il partenariato esteso finanziato nell'ambito del Pnrr che ha l'obiettivo di analizzare le conseguenze dell'invecchiamento e di rispondere a questa sfida demografica. La struttura di questo progetto, che unisce 25 tra università, istituzioni e centri di ricerca e oltre 300 ricercatori, mostra come il fenomeno vada osservato da tanti punti di vista: dalle scienze sociali, dalle scienze medico-biologiche e, non da ultimo, guardando alle nuove tecnologie. L'Università Bocconi è leader dello spoke sulla demografia politica che, a sua volta, spazia dagli aspetti normativi dell'equità intergenerazionale, ai temi della diversità nell'invecchiamento, all'analisi della composizione del corpo elettorale di una popolazione, agli effetti sul welfare. Perché un elettorato che invecchia costituisce il maggior incentivo politico per i policy-maker che decidono le politiche pensionistiche.
Le campagne elettorali sono occasioni per svolgere analisi sul campo. Succede ancora?
Le campagne elettorali sono occasioni importanti per svolgere esperimenti sul campo, i field experiments. Attraverso l'utilizzo di un gruppo di trattamento (ad esempio un gruppo di città i cui elettori sono sottoposti ad un tipo di informazione elettorale) e un gruppo di controllo (città ai cui elettori non sono fornite informazioni) è possibile stabilire l'influenza che tali informazioni hanno ad esempio sull'affluenza alle urne, seguendo la letteratura di Get-Out-The-Vote che si è affermata negli Stati Uniti. Questa metodologia richiede uno sforzo importante nel design scientifico dell'esperimento, ma anche nella gestione della privacy e di eventuali aspetti etici (come la richiesta di informazioni sensibili alle persone eventualmente intervistate). Ma le elezioni ci consentono anche di fare altre analisi, seguendo la metodologia quantitativa. Attraverso l'uso dei dati elettorali, è possibile studiare come la selezione dei politici è influenzata dal livello di competizione politica di un distretto elettorale.
Tra le varie domande o sfide globali qual è quella più ardua?
In Italia, sicuramente quella che riguarda il futuro dei giovani. Si tratta di un dibattito che non attira la stessa attenzione di altre grandi sfide globali. In Italia ci sono oltre 3 milioni di giovani Neet (Not in education, employment or training, ndr) che non studiano non seguono corsi di formazione, né cercano un impiego. Questi – e altri, giovani non si sentono coinvolti nella società e finiscono per andare alle urne ad esprimere il proprio voto in percentuali inferiori rispetto agli elettori più anziani. Forse dovremmo considerare i giovani alla stregua di una minoranza da difendere costituzionalmente. Si potrebbe adottare una semplice regola fiscale intergenerazionale: per ogni euro speso in programmi di cui usufruiscono gli over 65, un euro deve essere destinato anche alle politiche dedicate ai giovani.