La mobilita' urbana del futuro
Il limite di 30 km all'ora introdotto a Bologna, di cui tanto (troppo?) si parla, spesso con poca cognizione di causa, è il tema del momento, con le polemiche che si porta dietro. Ma non è che un aspetto di un argomento molto più ampio e complesso, quello della mobilità urbana, destinato ad avere un grande impatto sulle nostre vite e su cui le amministrazioni locali e le autorità politiche centrali dovranno porre sempre più attenzione in un futuro che è già qui. Quale sia la strada migliore per ridurre traffico e inquinamento, con le conseguenze sociali e anche economiche che questi provocano, lo spiega in questa intervista Gabriele Grea, docente di Smart cities, mobilità intelligente e sostenibile all'Università Bocconi.
Tanto rumore per nulla verrebbe da dire...
Sì, sono d'accordo. Intanto perché, soprattutto nei centri cittadini, le velocità medie sono decisamente minori ai 30 km/h, e gli aumenti dei tempi di percorrenza, ammesso che si verifichino, sarebbero trascurabili. Poi perché tale limite è stato introdotto in molte altre città europee e i numeri sugli incidenti, per esempio, se si tiene in considerazione un arco temporale sufficientemente lungo, ci dicono che è un provvedimento che funziona. E non dobbiamo dimenticare che la ratio principale alla base è la tutela dei cittadini, che sono i soggetti deboli della strada.
I contrari sostengono che là dove vige il limite il numero degli incidenti non sia diminuito. Come stanno realmente le cose?
Prima di tutto vanno considerati arco temporale e dinamiche transitorie. Fatte queste considerazioni, l'evidenza ci dice che gli incidenti diminuiscono e soprattutto diminuisce la gravità degli stessi con il diminuire della velocità massima consentita. Un caso interessante è Bruxelles, una delle primissime città a lanciare il concetto di città 30. In un primo momento c'è stato un aumento degli incidenti che hanno coinvolto biciclette e monopattini, ma questo era dovuto al fatto che, con di mezzo il lockdown, il numero di questi mezzi in circolazione era aumentato moltissimo ed è ovvio che se da 100 biciclette passi a 1.000 il numero complessivo degli incidenti aumenta, ma non quello relativo e soprattutto questi incidenti sono meno gravi. Oggi, a tre anni di distanza, possiamo dire che l'esperimento è riuscito, con traffico meno congestionato e una velocità media che non è diminuita proporzionalmente alla diminuzione dei limiti.
E questo, a cascata, impatta su tutta la mobilità della città.
Certo, perché avere strade più sicure e traffico più fluido per i mezzi pubblici spinge a riflettere su quale sia la modalità di trasporto più efficiente e a considerarne altre che non siano l'auto.
I detrattori sostengono che andare piano significhi impiegare più tempo negli spostamenti e parlano quindi di valore economico del tempo.
Questo impatto, sia dal punto di vista dei tempi sia dal punto di vista della loro monetizzazione, è molto, molto limitato, ammesso che avvenga, ma secondo me questa non è nemmeno la modalità più corretta di approcciare una potenziale analisi di impatto di queste misure. Ci sono gli effetti positivi sull'ambiente e quindi sulla salute, sulla sicurezza, sul rumore, e di conseguenza sulla qualità della vita.
Ridurre i limiti di velocità è solo una delle strategie utili per migliorare la mobilità urbana. In realtà le amministrazioni si stanno muovendo anche in altre direzioni.
E' una misura che si inserisce in contesti più ampi, non fine a se stessa, ma è strategica in un contesto che coinvolge altre misure sia nella mobilità sia nella gestione e quindi nell'organizzazione del territorio. La multimodalità integrata è la strada del futuro e va intesa sia a livello delle catene di trasporto sia delle scelte possibili, in modo che i cittadini possano vagliare differenti opzioni a seconda delle proprie convenienze: si tratta di una strada obbligata da percorrere per razionalizzare le scelte, limitando gli impatti ambientali della mobilità. Immaginiamo che per andare da A a B un cittadino utilizzi il bike sharing per raggiungere la metropolitana, quindi la metropolitana e magari un tratto in autobus e l'ultimo pezzo a piedi: questo è un esempio di multimodalità o intermodalità. Dal lato dell'offerta, vuol dire sviluppare e promuovere un sistema integrato di servizi di mobilità, dando così ai cittadini una più ampia possibilità di scelta in base alle proprie abitudini e bisogni, e magari anche incentivando i comportamenti più virtuosi.
Cosa c'è quindi nel futuro della mobilità urbana?
Sarà una mobilità che mette al centro il cittadino e i suoi bisogni sfruttando le innovazioni offerte dalla tecnologia. Vedremo l'affermarsi della mobilità integrata attraverso piattaforme digitali di "Mobility as a Service" (o MaaS), con cui non solo potremo accedere ad una pluralità di servizi, ma a vere e proprie offerte personalizzate, che supporteranno la nascita di nuovi modelli di business per la mobilità in grado di generare valore dall'integrazione e dalla personalizzazione. È uno strumento potenzialmente molto potente, sia per innescare un cambiamento comportamentale nell'utente, perché elimina le barriere all'utilizzo di differenti servizi, sia dal punto di vista della pianificazione, perché consente di raccogliere informazioni e di programmare servizi a seconda della domanda. Un altro elemento è l'aumento della flessibilità, introdotto dalla crescente digitalizzazione dei servizi di Demand Responsive Transit, i tradizionali servizi a chiamata, utili a completare il servizio pubblico tradizionale sia nelle aree e negli orari a domanda più debole, che per i cittadini con maggiori necessità di personalizzazione della propria mobilità individuale. Infine non dimentichiamo la guida autonoma, che bene si innesta in un contesto dinamico di servizi sempre più multimodali, integrati e flessibili.
Quali sono le città più virtuose nel mondo a cui guardare?
Per identificare esempi di successo occorre guardare alla capacità di adattarsi nel tempo ai bisogni e alle opportunità che la mobilità genera. Spesso si ricorre ad esempi che vengono dal Nord Europa, talvolta semplificando il dibattito soffermandoci su aspetti culturali e comportamentali. Ma la realtà e la storia sono più dinamiche. Prendiamo il caso di Amsterdam: la pianificazione dei Paesi Bassi nel dopoguerra era fondata su un approccio nordamericano, fatto di una rete autostradale capillare e lo sviluppo di città satellite intorno ai centri storicamente più importanti. In questo scenario auto-centrico, si è innescato negli anni un percorso che ha portato alla crescita di una mobilità metropolitana e locale basata sul trasporto pubblico e sulla mobilità attiva, tanto che oggi non ci sogneremmo mai di dire che l'Olanda è un posto dove tutti vanno in macchina e dove le biciclette sono vessate. Guardando ad esempi più recenti, si è già parlato di Bruxelles e potremmo citare ad esempio Barcellona, dove con l'esperimento delle cosiddette "Superilles" si sono diffusi mini-quartier a traffico limitato o senza traffico perché dirottato solo in alcune arterie dedicate. Un classico esempio, non nordico, di restituzione dello spazio ai cittadini. Allo stesso modo Parigi è diventata oggi una "città 30", adottando un approccio "democratico", avviando in parallelo una strategia di pianificazione del territorio che tende a portare le funzioni fondamentali della città in differenti quartieri (la "città dei 15 minuti"), ricostruendo una struttura multicentrica della città che è fondamentale in questo tipo di politiche per non penalizzare alcune aree rispetto ad altre.