Come cambia il customer journey
Nel linguaggio di marketing, il customer journey è il percorso di un potenziale acquirente dalla ricerca di informazioni su un certo prodotto o servizio fino al post-acquisto. Lo studio del percorso decisionale del cliente non è un concetto nuovo in marketing, ma l'evoluzione in un mondo integrato con il digitale ne complica la dinamica. La sfida per le imprese è seguire quello che di fatto è un moving target, ovvero riuscire a tracciare le scelte dei clienti che si districano tra una miriade di canali e punti di contatto molto diversi. Il tracciamento del comportamento offre un chiaro vantaggio alle imprese in termini di better targeting e conseguente invio di comunicazioni mirate. Questo vantaggio tuttavia va contestualizzato in un mercato sempre più sensibile a temi di privacy e sicurezza nell'uso dei dati, e norme sempre più stringenti che rendono molto più complessa la gestione delle leve di marketing.
In particolare, l'aumento vertiginoso del volume e della varietà di dati che le aziende possono acquisire e utilizzare nelle proprie strategie porta necessariamente a scelte delicate. Oggi gli utenti hanno maggiore libertà di scelta e controllo sull'uso dei propri dati grazie a nuove regolamentazioni sulla privacy in diversi paesi. Le maggiori restrizioni da un lato sono un oggettivo aiuto al consumatore ma dall'altro possono avere implicazioni sulla dinamica della concorrenza, ad esempio privilegiando i colossi a scapito degli operatori medi e piccoli. Restrizioni sull'uso di dati sensibili inoltre potrebbero portare al paradosso di algorithmic bias, ovvero potenziali discriminazioni involontarie, si pensi allo scandalo di Netflix accusata di profilare gli utenti in base all'etnia.
Si è tenuta in università il 13 e 14 giugno una conferenza intitolata Customer Journeys in a Digital World, che ha riunito alcuni tra i più importanti studiosi di marketing internazionali per presentare e discutere i recenti sviluppi della ricerca in questo campo, a cura di Sara Valentini, professoressa associata del Dipartimento di Marketing.
"Negli USA, secondo alcune indagini, circa il 39% utilizza sistemi che bloccano la pubblicità online" dice Sara Valentini, "ma non è chiaro in quale misura questo sia davvero un danno per le aziende. È vero che da un lato si perdono potenziali utenti, ma dall'altro chi blocca la pubblicità potrebbe avere una minore propensione a rispondere alle promozioni e comunicazioni. Su questo fronte," conclude Valentini, "la ricerca ha ancora molto da esplorare."