Se gli immigrati non hanno accesso alla sanita' perdiamo tutti. Soprattutto in un lockdown
I cittadini stranieri senza permesso di soggiorno possono essere le vittime invisibili di un lockdown da COVID-19, come è successo nell'area metropolitana di Milano la scorsa primavera, e la loro mancanza di accesso ai servizi sanitari, unita alla difficoltà di monitorare le loro condizioni, solleva anche preoccupazioni di salute pubblica.
Carlo Devillanova, professore associato in Bocconi e affiliato al COVID Crisis Lab, ha documentato tali dinamiche in uno studio recentemente pubblicato sull'European Journal of Public Health, scritto insieme ad alcuni volontari e soci del NAGA, un'organizzazione di volontariato che offre assistenza sanitaria di base gratuita agli immigrati senza permesso di soggiorno a Milano. Si stima che nell'area metropolitana di Milano ci siano circa 50.000 immigrati privi di permesso, provenienti principalmente da Egitto, Perù, Filippine, Cina e Marocco.
Il NAGA effettua circa 10.000 visite all'anno ed è un osservatorio unico sulla salute degli immigrati. Poiché il primo focolaio di COVID-19 è scoppiato in Lombardia il 21 febbraio 2020, Devillanova e i suoi coautori hanno confrontato i dati dal 2 gennaio al 21 febbraio (Pre-COVID) con quelli dal 26 febbraio al 23 aprile (post-COVID, ma prima dell'inizio del mese del Ramadan, che ha ricadute sugli spostamenti dei pazienti musulmani).
Il numero giornaliero di visite si è dimezzato (-48,4%) durante il lockdown, probabilmente a causa della limitazione alla mobilità in quel periodo e del timore di controlli da parte delle forze dell'ordine.
La quota di pazienti con infezione respiratoria acuta (compatibile con i sintomi della COVID-19) è passata dal 12% nel periodo Pre al 16% nel periodo Post, raggiungendo il 27% nell'ultima settimana di marzo.
In tempi normali, i pazienti del NAGA che necessitano di ulteriori cure sono indirizzati a due strutture pubbliche che ammettono immigrati senza permesso di soggiorno, ma questa possibilità è stata limitata durante le prime due settimane del periodo Post ed entrambe le strutture hanno chiuso l'8 marzo.
Le condizioni abitative degli immigrati senza permesso di soggiorno sono peggiorate durante il lockdown, con la quota di persone senza fissa dimora tra i pazienti del NAGA quasi raddoppiata nel periodo Post (dall'8,8% al 17%). Quindi, anche se il NAGA ha fornito a tutti i pazienti le raccomandazioni di salute pubblica relative al COVID, le loro condizioni abitative rendono difficile l'adozione di misure come il lavaggio delle mani, il distanziamento sociale, l'autoisolamento o la quarantena. Infine, essendo privi di documenti, sono esclusi da qualsiasi programma di sostegno al reddito e potrebbero continuare a lavorare anche se malati.
"Concedere agli immigrati senza permesso di soggiorno l'accesso ai servizi di assistenza di base è una questione sia di dignità individuale, sia di salute pubblica", conclude Devillanova, "e la questione diventa particolarmente pressante in tempi di emergenza e di lockdown come quelli che stiamo vivendo".
Anche se, secondo la legge italiana, gli immigrati privi di permesso di soggiorno hanno accesso al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), l'attuazione della legge varia da regione a regione. La Lombardia non fornisce assistenza di base ai migranti privi di permesso e, poiché i medici di base svolgono il ruolo di filtro rispetto all'assistenza più specializzata, questi cittadini possono accedere al SSN solo attraverso il pronto soccorso, rendendo difficoltosa ogni azione di prevenzione.
Carlo Devillanova, Cinzia Colombo, Primo Garofoli, Anna Spada, "Health Care for Undocumented Immigrants During the Early Phase of the COVID-19 Pandemic in Lombardy, Italy", in European Journal of Public Health, published online in advance, DOI: 10.1093/eurpub/ckaa205.
Foto di apertura: NAGA