Perche' l'emigrazione durante la Grande Recessione ha sostenuto la natalita' in Italia
All'indomani della crisi del 2008, i paesi dell'Europa meridionale hanno sperimentato un aumento significativo dei tassi di emigrazione. Si calcola che l'emigrazione netta degli italiani dal 2008 al 2014 abbia raggiunto le 410.000 unità (l'1,24% dell'intera popolazione). Secondo la maggior parte della letteratura sulla fecondità, un fenomeno di questo genere dovrebbe avere un impatto negativo sulla natalità. Tuttavia, uno studio dei professori della Bocconi Massimo Anelli e Nicoletta Balbo, pubblicata su Demography, prova il contrario. Poiché una coorte più giovane di emigranti ha trovato migliori opportunità all'estero, coloro che sono rimasti hanno avuto più probabilità di avere figli rispetto a quelli che sono partiti nello stesso periodo, mitigando così l'effetto negativo che le crisi economiche solitamente hanno sulla natalità.
Gli anni della Grande Recessione (2009-2014) hanno segnato un aumento significativo dell'emigrazione dai paesi maggiormente colpiti dalla crisi economica. In Italia, la migrazione interna dalle regioni meridionali verso il Nord è rimasta stabile rispetto ai tempi pre-crisi. Le caratteristiche degli emigrati all'estero, invece, sono cambiate sostanzialmente. In media, coloro che sono emigrati durante la Grande Recessione erano più giovani e più spesso non sposati dei loro predecessori, con un forte aumento nella coorte tra i 18 e i 45 anni. Inoltre, i dati sugli emigrati del 2017 mostrano una probabilità doppia di possedere una laurea rispetto alla media della popolazione italiana.
Questo scenario permette agli autori di contribuire alla letteratura sull'effetto dell'emigrazione e della recessione economica sulla natalità nel contesto dei paesi sviluppati con bassi tassi di fecondità. Più precisamente, la letteratura esistente tende a sostenere l'ipotesi che l'effetto complessivo dell'emigrazione sulla natalità sia negativo, poiché il massiccio deflusso di individui riduce lo stock di coppie con probabilità di avere figli. Al contrario, Anelli e Balbo formulano un'ipotesi alternativa, secondo la quale gli emigranti sono selezionati tra gli individui che hanno una minore probabilità di avere figli. Perciò la loro assenza dovuta all'emigrazione si traduce in un tasso di natalità più elevato nel paese d'origine.
Per testare questa ipotesi, gli autori impiegano un sofisticato metodo econometrico che permette di costruire un tasso di natalità controfattuale credibile in uno scenario in cui l'emigrazione non è avvenuta. L'esercizio è stato possibile anche grazie alla ricchezza dei dati forniti dall'Anagrafe Italiani Residenti all'Estero (AIRE). Il loro approccio permette di isolare le variabili che potrebbero aver avuto un impatto sia sull'emigrazione che sulla fertilità, come la disoccupazione. Poi, viene individuata una differenza significativa tra lo scenario controfattuale e quello reale in termini di natalità a livello provinciale in Italia, con un aumento dell'1% dell'emigrazione che si traduce in un aumento del 6,5% del tasso di natalità totale.
Massimo Anelli e Nicoletta Balbo concludono che l'emigrazione durante la Grande Recessione ha avuto un effetto positivo sul tasso di natalità totale, sostenendo l'ipotesi che gli emigranti siano selezionati tra gli individui che hanno una minore propensione ad avere figli. Il che è probabilmente dovuto al fatto che una porzione maggiore di emigranti è costituita da individui giovani con possibilità di rimandare la gravidanza per varie ragioni (come le scelte di vita orientate alla carriera) o di evitarla del tutto. Fondamentalmente, questa evidenza suggerisce che l'effetto della recessione economica sulla natalità potrebbe essere molto più grande di quanto stimato in precedenza.
Massimo Anelli, Nicoletta Balbo; "Fertility Drain or Fertility Gain? Emigration and Fertility During the Great Recession in Italy." Demography 1 April 2021; 58 (2): 631–654. doi: https://doi.org/10.1215/00703370-9001598