Non e' il consumatore, non e' il cliente, ecco a voi lo shopper
L'attenzione delle imprese verso la figura dell'acquirente (shopper) cresce con l'accrescersi della rilevanza che le imprese di distribuzione assumono nell'ambito dei canali distributivi e, in generale, nella nostra economia. Gli studi sul comportamento del consumatore tradizionalmente si sono concentrati sul processo decisionale per la scelta del prodotto. Per una compiuta analisi del comportamento della domanda non è, però, sufficiente limitarsi allo studio del consumatore, ma è opportuno considerare anche la figura dello shopper quale unità concettuale distinta, intendendo il primo come acquirente della merce e il secondo come interessato alla scelta del punto vendita.
L'Osservatorio retailing della Sda Bocconi ha avviato un'analisi dei comportamenti di shopping relativi a varie categorie di prodotto (grocery, abbigliamento e accessori, farmaci), per monitorare i bisogni degli acquirenti, le preferenze rispetto ai differenti format e alle varie insegne, il livello di fiducia nei confronti delle formule distributive. Qui ci concentreremo su una recente indagine sullo shopping di prodotti di abbigliamento su un campione di 1.400 individui. L'analisi ha messo in evidenza una significativa varietà di punti di vendita e format distributivi abitualmente frequentati per l'acquisto di abbigliamento e accessori. In media 8-9 punti di vendita diversi, appartenenti a 3 o 4 formule differenti (principalmente grandi magazzini e catene di pronto moda). Si nota una consistente attività di ricerca del cliente, che visita numerosi punti vendita di differenti formule distributive per i suoi acquisti di abbigliamento e solo raramente concentra gli acquisti in un'unica insegna. La crisi economica rende ancor più evidente tale comportamento, che, comunque, non è omogeneo nella popolazione, con picchi di punti di vendita frequentati al sud e nelle fasce più giovani della popolazione (18-34 anni).Limitandoci alle formule distributive più frequentate, spicca il grande magazzino (per il 38,7% è il punto vendita principale), seguito dalle catene di abbigliamento (24,1%) e le grandi superfici specializzate dell'abbigliamento sportivo (21,8%). Meno frequentati i punti di vendita delle griffe (11,4%) e gli outlet (4%), un fenomeno, questo, in grande ascesa, ma ancora presente a macchia di leopardo. Altre variabili significative sono la residenza dell'intervistato (al sud sono più frequentati i negozi delle catene di pronto moda), l'età (le fasce più giovani preferiscono i negozi di abbigliamento sportivo) e il sesso (le donne preferiscono gli outlet). L'incrocio fra le varie formule distributive e le variabili socio-demografiche fa dunque emergere una fotografia abbastanza chiara del posizionamento delle prime rispetto ai differenti target di clientela. Inoltre, nell'analizzare i driver della soddisfazione e della fiducia si evince un Trust retail index molto elevato soprattutto per alcune insegne dei grandi magazzini e delle catene connotate da un elevato value for money. Nel produrre fiducia un ruolo centrale è svolto dall'assortimento, soprattutto nella componente dei prodotti a marchio, che rappresentano una parte crescente dell'offerta dei punti vendita. La trasparenza della comunicazione, le promozioni, la cortesia del personale, l'ambiente e la convenienza costituiscono gli altri driver della fiducia nelle insegne. Naturalmente, questi fattori giocano un ruolo diverso in base alle diverse formule. Una costante è rappresentata dalla rilevanza della fiducia nella private label, che gioca un ruolo fondamentale quasi per tutte le formule. La convergenza fra retail e brand diventa un interessante terreno di confronto fra le imprese industriali, che sviluppano reti di punti vendita diretti o in franchising, e i grandi retailer, che integrano a monte le attività di branding, lanciando marchi di proprietà dell'insegna. Il fashion branding e il fashion retail vanno a fondersi, rendendo fondamentale per le imprese del settore un presidio congiunto di marchio e punto di vendita.