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Linda Scott: la mia Africa salvata dai cosmetici

, di Fabio Todesco
Secondo la docente di marketing di Oxford, intervenuta a un seminario del Dipartimento di management, il mercato e le grandi imprese possono promuovere lo sviluppo meglio delle ong

Il consumo può trasformare le persone e i progetti di sviluppo che sfruttano il mercato si rivelano, a volte, più efficaci di quelli promossi dalle organizzazioni non governative (ong). Il punto è stato illustrato giovedì, attraverso l'esposizione dei risultati preliminari del progetto di ricerca Avon in Africa a un seminario del Dipartimento di management della Bocconi, da Linda Scott, professoressa di marketing all'Università di Oxford ed esponente di quell'approccio di transformative consumer research, che sta screditando molti degli stereotipi negativi legati al consumo, anche nelle regioni in via di sviluppo.

Le strategie delle ong in Africa ruotano, negli ultimi anni, soprattutto intorno al microcredito, ha spiegato Scott, ma l'approccio denota alcuni limiti: i tassi sono talmente alti che la popolazione, a volte, fatica a distinguere questa pratica dallo strozzinaggio; il rischio per i creditori rimane comunque molto alto (i debitori sono sempre subprime) e le iniziative avviate sono per lo più indifferenziate, quasi sempre legate al piccolo commercio di beni artigianali, senza elementi distintivi che assicurino un piccolo vantaggio competitivo tale da garantire sostenibilità e continuità.

Un'idea alternativa potrebbe, quindi, esser quella di promuovere il lavoro (anche semi indipendente) anziché la microimprenditorialità. Le entità meglio posizionate per farlo, ha sostenuto Scott, sono le multinazionali, che in Africa affrontano problematiche del tutto simili a quelle di chi vuole promuovere lo sviluppo, come la necessità di aggirare le carenze infrastrutturali per raggiungere le aree rurali o quella di garantirsi al fiducia della popolazione.

Un'altra osservazione importante ai fini dello sviluppo è che il denaro meglio distribuito in Africa è quello che va alle donne. Si è osservato che gli uomini, quando hanno un po' di contante, tendono a spenderlo in consumi edonistici, mentre le donne cercano di utilizzarlo per nutrire meglio i figli (un investimento che darà i suoi frutti a lungo termine) e migliorare le condizioni di vita della famiglia e della comunità.

Non è un caso, allora, se molte multinazionali che si rivolgono alle donne sia come consumatrici sia come forza lavoro abbiano sviluppato progetti di sviluppo in Africa. P&G, Unilever, Bata, Victoria's secret, Marks & Spencer e Gap, tra le imprese citate da Scott, lavorano in questo senso accanto a organizzazioni non governative. Avon, al centro del progetto di ricerca pluriennale di Scott, ha invece sviluppato una Poverty alleviation strategy in totale autonomia.

I paesi in via di sviluppo rappresentano, oggi, il 78% del mercato e l'80% dei profitti della multinazionale, che distribuisce i propri prodotti a porta a porta, attraverso il sistema multi-level. Grazie a margini del 20% riconosciuti alle distributrici, che devono sopportare costi d'ingresso bassissimi, il sistema, secondo i risultati preliminari della ricerca di Scott in Sud Africa, ha portato stabilità di reddito, sviluppo di competenze e sostegno alle comunità rurali, oltre a un riconoscimento di status per centinaia di donne, che non lo potrebbero ottenere altrimenti in una società in cui le differenze di genere pesano ancora moltissimo.

Solo in network quasi esclusivamente femminili (il 95% delle rappresentanti Avon) le donne sudafricane possono sviluppare una piena autonomia. "I cosmetici, considerati cose da donne e perciò trascurati dagli uomini", ha concluso Scott, "possono diventare una sorta di copertura per promuovere lo sviluppo economico e l'uguaglianza di genere".