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Secondo una ricerca di Turrini, Cristofoli e Valotti, questo e' il tratto unificante della realizzazione di tre ospedali COVID a Milano, New York e Wuhan

"La reazione della pubblica amministrazione a una situazione di emergenza è uno dei temi di fondo della mia ricerca. La circostanza che mi trovassi negli Stati Uniti durante il lockdown ha fornito l'occasione per confrontare il comportamento delle istituzioni in due casi emblematici: l'Ospedale Fiera di Milano e il Javits Center Emergency Hospital di New York".

Alex Turrini, docente nel Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche e affiliato al COVID Crisi Lab, racconta così la genesi dello studio condiviso con i colleghi Daniela Cristofoli e Giovanni Valotti e appena pubblicato sull'American Review of Public Administration, nel quale è stata inclusa, in un secondo momento, anche la comparazione con la realizzazione dell'Huoshenshan di Wuhan, in Cina. Scopo dell'indagine è stato quello di individuare i fattori determinanti che hanno consentito una risposta così rapida da parte della PA nei diversi contesti. "Analizzando gli articoli apparsi sulla stampa e ricostruendo dunque tutte le fasi dei progetti, abbiamo osservato due modelli di intervento diversi", riassume il docente. "In USA l'approccio è stato di tipo quasi militare, con una chiara definizione dei ruoli e una partecipazione attiva della PA rappresentata dal governo dello stato e della città di New York. Quasi assente invece il livello superiore, quello federale, e in primis il presidente Trump, che si è tolto dalla catena decisionale senza esasperare alcuna conflittualità con Andrew Cuomo, governatore dello stato di NY, che pure per realizzare l'opera ha dovuto interloquire con il governo. In Lombardia, invece, c'è stata una forte leadership politico-imprenditoriale da parte del governatore Attilio Fontana, che ha coinvolto strutture e fondi privati e il mondo del volontariato. L'emergenza, insomma, ha ribaltato due luoghi comuni in un colpo solo: nel paese dell'iniziativa privata, gli USA, lo stato ha fatto tutto da solo, mentre nel paese della burocrazia, l'Italia, si è espressa una rapida collaborazione tra pubblico e privato".

Senza entrare nel merito dell'effettiva necessità di realizzare queste strutture, l'esito efficace di entrambi gli approcci dimostra che non vi è stato un modello migliore di un altro. L'elemento di maggior interesse sottolineato dallo studio riguarda piuttosto il ruolo ricoperto dalle emozioni nell'accelerare i processi e nel favorire la collaborazione, un aspetto che ha suggerito alla ricerca di Turrini nuovi spunti di approfondimento. "Laddove un atteggiamento troppo razionale sarebbe stato meno adatto al contesto, la PA non ha esitato a fare leva sulle emozioni per coinvolgere il privato", spiega il docente. "Questo meccanismo, perfezionato e reso strategico, potrebbe rivelarsi un nuovo strumento nelle mani della PA per migliorare l'operatività degli uffici e snellire i processi decisionali non solo in situazioni di emergenza ma nella quotidianità, quando comunque deve rispondere con risorse scarse a bisogni illimitati. Il tema della emotional intelligence applicata al business è già dibattuto infatti in contesti privati ma nel pubblico è quasi del tutto assente, e invece anche per la leadership in questo ambito sarebbe importante capire come utilizzare forme di persuasione, e non di manipolazione naturalmente, legate alle emozioni".

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