Elemosina, Air Max, mercato e integrazione
Luca Visconti |
"Si può chiedere l'elemosina indossando le Air Max? Si può dire in una chat di essere zingaro? Si può navigare online da un campo nomadi?" si chiedono Massimo Conte, Oana Marcu e Andrea Rampini nel capitolo di Cross generation marketing (di Luca Visconti ed Enzo Napolitano, Egea, 2009, 404 pagine, 30 euro) dedicato ai giovani rom, centrando così appieno la dimensione di mercato del conflitto identitario che lacera gli immigrati di seconda generazione, combattuti tra la fedeltà alle tradizioni paterne e una difficile integrazione nel mondo di destinazione, che passa di necessità attraverso gli stili di consumo.
Stili fortemente caratterizzati, come quelli dei giovani sudamericani, possono essere sintomo di un'integrazione problematica, come mostra Valentina Bugli nel capitolo Diventare latinos e latinas a Milano, mentre le diverse fasi dell'immigrazione cinese fanno capire, in concreto, quanto sia sviante la stessa definizione di immigrati di seconda generazione, tante sono le differenze tra la seconda generazione propriamente detta (gli stranieri nati in Italia), la generazione 1,75 (immigrati in età prescolare), 1,5 (immigrati tra i 6 e 12 anni) e 1,25 (13-17). Daniele Cologna mostra che le difficoltà di integrazione aumentano con l'età di arrivo in Italia e che la scuola è una variabile fondamentale. I tagli di questo primo decennio del secolo, con la riduzione dei facilitatori, hanno contribuito al peggioramento delle prospettive dei giovani immigrati.
Bastino questi esempi per chiarire che Cross generation marketing non è soltanto un libro di marketing, ma un esempio di meticciato disciplinare, con ampio spazio per storie e riflessioni tratte dall'esperienza degli immigrati.
Il cuore di marketing sta nei risultati di una ricerca dei due autori-curatori, che evidenzia come i minori stranieri in Italia detestino essere chiamati "diversi" o "extracomunitari", considerandosi piuttosto "cittadini del mondo" e la loro integrazione passi per il mercato: pur essendo rari i casi di acculturazione piena o di polarizzazione oppositiva, i loro consumi sono molto vicini a quelli dei coetanei italiani, tanto che possono essere considerati la generazione ponte alla quale fa riferimento l'espressione cross generation.
Le definizioni nelle quali più si riconoscono questi ragazzi (nati in Italia da genitori stranieri, ma anche ricongiunti) sono "cittadini del mondo" (35%), "stranieri in Italia" (24%), "Italiani / nuovi italiani" (15%), ma non "extracomunitari / stranieri / immigrati" (2%). Al converso, "clandestini" (44,9%), "diversi" (43,9%) ed "extracomunitari" (39,6%) sono le caratterizzazioni che piacciono di meno.
Sette giovani su dieci consumano ogni giorno prodotti alimentari italiani, mentre sulla tavola di un ridotto 43,7% compaiono quotidianamente quelli legati alla propria tradizione. Anche i luoghi di acquisto degli alimentari (principalmente supermercati e centri commerciali) evidenziano analogie con i giovani italiani, una caratterizzazione ancora più marcata nel caso dell'abbigliamento: il 76% dei giovani della cross generation veste regolarmente all'italiana, mentre solo il 17,2% dichiara di portare quotidianamente vestiario etnico.
Dal punto di vista culturale, i giovani della cross generation sono freddi nei riguardi della free press (ignorata dal 55,3% di loro) e dei quotidiani sportivi (solo l'8% di lettori assidui), mentre si avvicinano più spesso ai quotidiani (li legge regolarmente il 22,8%, li rifiuta il 27,7%, con in mezzo il gruppo dei lettori occasionali) e ai libri (22,1% di lettori appassionati e 29,9% decisamente distanti). La lettura di libri nella lingua d'origine è decisamente marginale, con il 71,8% dei giovani che non ne fa mai uso.
I due autori evidenziano ulteriori analogie in quanto a utilizzo di beni tecnologici. Il 95,9% possiede un cellulare, il 77,9% un lettore di dvd, il 77,7% un lettore mp3, il 73,1% un personal computer, mentre utilizza internet poco più della metà dei giovani, con un 35% che naviga anche nei siti del paese di origine. La stessa alternanza si registra nell'ascolto della musica, con il 66,3% che ascolta musica in inglese, il 50,5% musica etnica e il 41% musica italiana.